Recensione: Holy Moon

Di Fabio Vellata - 17 Novembre 2013 - 21:50
Holy Moon
Etichetta:
Genere: Stoner 
Anno: 2013
Nazione:
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85

Visioni emozionanti come solo dai grandi fuoriclasse: concede qualcosa di davvero molto raro l’ascolto di un disco realizzato dai Black Rainbows

Il terzetto romano, attivo sin dal 2005, può tranquillamente essere definito come una delle realtà stoner più efficaci e significative della scena europea.
Ovvio, stiamo parlando di un settore parecchio limitato in quanto a numero di uscite e presenza di band: tant’è, pare davvero che da queste parti – complice forse qualche strano composto allucinogeno presente nell’aria della nostra penisola – un genere tanto particolare come quello “fricchettone” e settantiano stia divenendo di casa, trapiantato dalle assolate pietraie statunitensi ai panorami costieri ed artistici dei confini tricolori.

Un’infatuazione che ha portato alla nascita di un nucleo di band cospicuo e qualitativamente importante, di cui proprio i Black Rainbows dimostrano di essere una delle avanguardie di maggior valore ed espressività.
Dopo averne apprezzato lo spessore con il precedente “Carmina Diabolo” uscito nel corso del 2011, la conferma dell’elevato profilo raggiunto dal trio capitolino ci deriva da questo “finto” EP di sei tracce (e diciamo “finto” giacché, trentotto minuti di musica, rappresentano per molti musicisti un minutaggio più che sufficiente per la release di un full length), intitolato “Holy Moon”, suggestivo concentrato di tutto quello che può essere compreso tra i Black Sabbath e l’Apollo 13, tra i Kyuss ed un qualsiasi film anni settanta incentrato sulla conquista dello spazio.

Potremmo definirlo Stoner-Space Rock: un’accoppiata di stili non proprio inusuale per quanto offerto che però, sin dal primo assalto, dichiara apertamente le intenzioni allucinanti e visionarie, stordite da chitarre low tuned ed un tappeto di suoni adatti proprio alle profondità del cosmo.
Immagini che si assommano l’una all’altra con effetti onirici imprevedibili, cui è garantito un alto potere di coinvolgimento e l’esito “spazza cervello” di un gigantesco trip sonoro.
È pur sempre gradevole, di tanto in tanto, lasciar andare i pensieri a briglia sciolta: una conseguenza diretta che deriva dalla riproduzione (possibilmente in cuffia) di un brano come “Holy Moon”, l’opener strumentale e titletrack dell’EP. Le note scivolano avvolgenti, catturando l’attenzione nella ragnatela di cadenze lente ed inesorabili dalle quali ci si trova inevitabilmente rapiti dopo pochi istanti.
Quanto è influente poi la grandissima lezione di Mr. Garcia e dei Kyuss (o dovremmo ormai chiamarli Vista Chino?) è poi manifesto nella successiva, torrenziale, “Monster Of The Highway”, un brano straordinario, carico di “zolfo”, demoniaco, perfetto per richiamare alla mente un’altra delle visioni più tipiche degli scenari cari allo stoner rock: quello delle infinite autostrade nel deserto, solcate con ferocissimi ed aggressivi mezzi meccanici, siano auto, Harley Davidson o giganteschi american truck…

Ma il meglio deve ancora arrivare: “Chakra Temple”, una sinfonia delirante per soli strumenti che dirompe come un violento tornado, è la summa massima della “stoner art” dei Black Rainbows. Coinvolgimento massimo e tanta devozione per gli immensi Kyuss ed i loro epigoni (Nebula, Fu Manchu e Monster Magnet su tutti) che emergono pure nel “singolo” “The Hunter”, brano che concede qualcosa alla melodia nel chorus, ma si fonda essenzialmente sulla potenza stellare delle chitarre di Gabriele Fiori.
Atmosfere rurali (ma sempre estremamente stravaganti ed allucinate nell’incedere), caratterizzano la breve “If I Was A Bird”, preludio e contraltare della conclusiva “Black To Comm”, al contrario, decisamente lunga, complessa ed articolata.
Stravolgimento di un vecchio pezzo degli MC5 (già stralunato di suo), si presenta come una nebulosa di suoni in tempesta, in cui la chitarra, ruvida, profonda, arcigna di Fiori, descrive un’estesa sinfonia da viaggio interstellare che avrebbe potuto comodamente uscire dalla penna di un Dave Wyndorf (Monster Magnet), alle prese con una fornitura di acidi tra i più pericolosi.
Dodici minuti di suite a cavallo tra stoner e space rock che lasciano davvero ammirati per la capacità, lo spessore e l’espressività del trio romano.

Una band realmente di livello superiore i Black Rainbows. Fedeli alle muse ispiratrici tanto da poterle guardare negli occhi. Potenti ed incisivi al limite del cinematografico. Settantiani da sembrare quasi figli di quell’epoca.
Ma soprattutto, coinvolgenti come un sogno ad occhi aperti, in cui visioni di luminose costellazioni e canyon riarsi dal sole, si assommano con effetti allucinogeni.

I fan di Kyuss, Vista Chino, Nebula, Fu Manchu e Unida si concedano un regalo, acquistando qualcosa di questo eccellente combo di casa nostra.
Ne vale davvero la pena…
 
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