Recensione: In Absentia

Di poluz76 - 3 Maggio 2006 - 0:00
In Absentia
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 2002
Nazione:
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85

Steven Wilson è certamente uno dei protagonisti di questo decennio musicale. Numerose sono le sue collaborazioni extra Albero del Porcospino e basta ricordare il suo evidente contributo artistico e strumentale apportato negli album Blackwater Park, Deliverance e Damnation a firma Opeth che tanti cuori oscuri del metallo più pesante hanno avvicinato in qualche modo al genere progressive inteso nella sua accezione più radicale, di ricerca dei confini e abbattimento degli stessi in progredire. Oppure il suo lavoro come produttore di gruppi dalla fama artistica e commerciale consolidata come i Marillion di Marillion.com, manifesto del progressive rock pop melodico degli ultimi anni.
Tutte queste avventure più o meno prestigiose nelle quali si è imbarcato il nostro hanno fatto crescere il raggio di influenze sul quale lavora dai crepuscolari richiami di rock psichedelico delle origini che tanto odoravano di Tangerine Dream e Pink Floyd fino ad arrivare oggi ad un cameo di colori di difficile messa a fuoco in cui confluiscono la facile melodia del brith pop con gli impeti maestosi del metal più pesante e le boccate gassose del viaggio spaziale. A mio parere l’esperienza con gli Opeth è stata determinante per la progressiva virata dei Porcupine Tree verso soluzioni più oscure che la nuova componente metal risalta in alternanza ai loro consueti quadri psichedelici.
Il minimo dettaglio nella cura dei suoni è il vero protagonista di queste composizioni che colpiscono allo stomaco a livello viscerale ma fanno anche pensare in virtù dei delicati equilibri che tessono. Gravity Eyelidis ne è un esempio nel ricamo di metafore siderali che sembrano infrangersi dopo i loro 7 min. abbondanti contro un massiccio riff di chitarra in chiave indiana che prelude il successivo brano Wedding Nails. A mio parere la punta di diamante del disco è però rappresentata dal trittico di brani che apre il disco, Blackest Eyes, Trains e Lips of Ashes, vero e proprio manifesto d’intenti per quello che ci attende inoltrandoci nel disco. L’imprevedibilità è la chiave di lettura di questi solchi che lasciano sempre un finale aperto nella mente del viaggiatore come la migliore tradizione prog vuole. Poi cito Prodigal e sembra rientrare nei binari del brano ordinario di strofa e ritornello ma è solo una piccola componente del grande progetto esplorativo originale del nostro subconscio. Ma quanto tempo è che i Pink Floyd non riescono a trasportarci verso certi lidi? Direi che se invece dello stesso Wilson alla chitarra ci fosse David Gilmour a guidarci in questi meandri non si noterebbe differenza con lo storico gruppo. Ma poi è evidente che i panni di nuovi Pink Floyd vanno stretti ai nostri perché le atmosfere si sospendono in trame fluttuanti e rarefatte con vaghi echi elettronici e chitarre acustiche e infine non si trova più un punto di paragone così delineato. Bravi veramente, se si pensa che i Porcupine ci hanno abituato disco dopo disco a smentire le nostre attese con colpi di scena impensabili. La voce filtrata di Wilson ci accompagna nel turbine “dance” e cacofonico di The Creator Has a Mastertape. Gli ultimi Anathema sono dietro l’angolo con Heartattack in a Layby. Questi esperimenti sono troppo pulsanti e vitali per non rimanere affascinati da tanta creatività. E se vi dicessi i nuovi King Crimson in Strip the soul? Melodie alienanti e stacchi algidi accompagnate da un mondo di frequenze filtrato. Ci pensa comunque l’ultimo brano Colapse The Light Into Earth a darci la buona notte con un accompagnamento di pianoforte sicuro e paziente sotto l’interpretazione vocale liquida e sognante del protagonista. Un coro maestoso di voci e violini ci dice che il viaggio sta per finire ma per chi non ne ha abbastanza non rimane che ricominciare tutto da capo o, per i più fortunati, dilungarsi nelle 3 tracce bonus che sono comprese nell’edizione europea.
I Porcupine Tree sono tra le migliori eredità al momento che le ardite sperimentazioni degli anni ’70 ci possano lasciare e ignorarli significa prendere le distanze da quella filosofia di vita esplorativa che scava nella storia del nostro animo.

Tracklist:
1. Blackest Eyes
2. Trains Lips of Ashes
4. The sound of Muzak
5. Gravity eyelids
6. Wedding Nails
7. Prodigal
8. 3
9. The Creator Has a Mastertape
10. Heartattack In A Layby
11. Strip the Soul
12. Collapse The Light Into Earth

Bonus disc (edizione europea):
13. Drown With Me
14. Chloroform
15. Strip the Soul (video edit)

Porcupine Tree:
Richard Barbieri- keyboards and synthesizers
Colin Edwin- bass guitar
Gavin Harrison- drums and percussion
Steven Wilson- vocals, guitars, piano, keyboards
 

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