Recensione: In Cold Blood

Di Matteo Bovio - 3 Giugno 2004 - 0:00
In Cold Blood
Etichetta:
Genere:
Anno: 1997
Nazione:
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90

Due sono gli album che possono essere considerati senza problemi dei classici, spulciando nella discografia dei Malevolent Creation: il primo Retribution, a mio parere il capolavoro senza pari del gruppo, e poi questo In Cold Blood. Questo nonostante i miei gusti personali, che quasi paradossalmente mi portano a preferire altri episodi: ma se nell’accezione di classico intendiamo un album che abbia scosso la scena, un riferimento al quale i gruppi tutt’oggi non rinunciano, ecco che mi sembra che il mio discorso fili: Stillborn ed Eternal sono passati troppo nel silenzio, Envenomed è troppo recente per poter esser considerato sinceramente un classico. Forse per motivi ‘storici’ il seminale The Ten Commandments potrebbe a ragione essere incluso nella sezione. Ma basta parlare di etichette (non bastavano quelle sui generi, ora pure queste…).

Classico o meno, In Cold Blood è e resta un grandissimo lavoro. Marca l’ennesima svolta nella loro discografia, che li ha portati a produrre sequenzialmente 5 album completamente diversi l’uno dall’altro. Il discorso si potrebbe estendere per tutta la loro discografia, ma considerando l’arco che va da Stillborn a Envenomed è un aspetto ancora più evidente (magari escludendo l’Ep Joe Black).
Partendo dalle anomalie di Eternal infatti qua si sterza su lidi enormemente più classici: il suono per primo si propone come una garanzia in tale senso. Non si era mai sentito in precedenza un album dei Malevolen Creation che suonasse così potente e martellante. Altro contributo fondamentale quello di Derek Roddy (Nile, Hate Eternal) dietro le pelli, un musicista dall’approccio meno animale di Culross e più canonico di Marquez (l’approccio, per inciso, che meno mi piace guardando tra le registrazioni del gruppo).

I riverberi del precedente studio-album si sentono nella primissima “Nocturnal Overlord“, una delle tracce più impressionanti del lavoro. Esemplare anche la title-track, quasi interamente basata su tempi medio-lenti: con la potenza sonora ottenuta in fase di restrazione, questa canzone assume un fascino e una pesantezza notevoli, nonostante la monotematicità del riffing.
Segue un attacco in pieno stile Cannibal Corpse con “Vision Of Malace“, una traccia diretta e che mostra i primi, quasi indistinguibili, sintomi di ciò che esploderà definitivamente anni dopo con Envenomed. E’ forse con “Compulsive” che invece si tocca uno dei punti più alti, nonostante la relativa semplicità della canzone (o forse proprio grazie a questa). Impossibile comunque fare una stima dell’episodio migliore, visto che In Cold Blood viaggia costantemente su livelli piuttosto alti.

Da segnalare l’assenza di Hoffman alla voce, come già sul precedente album, sostituito da Blachowicz (sì, il bassista…): una scelta che regala punti al fattore potenza (quello che, come già detto, è stato più esaltato in questo cd), ma che ne toglie non pochi sul fronte della versatilità. Aggiungiamoci che il Cd si colloca tra due episodi particolari (il precedente un capolavoro mancato per un soffio, il successivo considerato il flop del gruppo) e capirete come non pochi siano restii a dar particolare credito a questo album.
Chiudendo il discorso, il mio consiglio è questo: se siete lanciati alla scoperta del gruppo in questione e avete già sondato l’immancabile Retribution, potete sia passare a questo capitolo che al più recente Envenomed, oppure ai precedenti Stillborn e Eternal; se invece la vostra è una ricerca all’interno della scena di Death estremo / Brutal americana, è sicuramente questo uno dei lavori che più ha contribuito alla sua formazione. Poi può essere che semplicemente siate incuriositi da questo Cd: in tal caso non perdete più tempo sulle mie parole inutili e andate a investire i vostri soldi come si deve!
Matteo Bovio

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