Recensione: Isolation Poetry

Di Stefano Santamaria - 2 Febbraio 2017 - 0:00
Isolation Poetry
Band: Derealized
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2016
Nazione:
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85

Primo capitolo discografico per i francesi Derealized, il cui sound è un gioco di luci ed ombre tra death e black metal.

 Eco rimbalza sulle pareti di un precipizio la cui fine non si scorge, ma di cui si riesce a leggerne le forme tra le righe dei racconti dei dannati. Voci giungono angoscianti da un torbido liquame, il cui scorrere nitido ha solcato e formato tale ferita. Strozzate grida si rifrangono sulle molteplici sfaccettature della coscienza, sensi di colpa ed odio che sfregiano una serenità appena trovata.

Isolation Poetry” è così il tormento che ci attanaglia, tutte quelle sfumature che appartengono ad ognuno di noi e che nella loro più intima e potente complessità sovrastano la ragione. Rientrando un po’ nei ranghi, vi potremmo dire che il sound è tecnico, in più punti capace di essere cristallino, e poi più slabbrato e corrosivo. In tal senso, potremmo senza timore parlare anche di influenze industrial, intese nella direzione di Fear Factory, Dimmu Borgir, ma in un contesto decisamente più complesso e death nella propria accezione.

 Difficile trovare un filo conduttore a tal mole di suoni, strutture la cui cerebralità lascia senza fiato. Tali e tante le divagazioni, accompagnate però da un gusto della melodia che ci riporta alla mente la scuola svedese, ed alcuni cenni di heavy nei toni. Esempio tipico ne è “Opium Dem”. La successiva “Torment’s Work” poi rispecchia perfettamente l’attitudine techinical del project, balenando in noi un parallelismo con i Nile.

Full-length che va sviscerato e compreso in ogni sua sfaccettatura, caotico ordine che smuove indubbiamente spiriti che si ritenevano ormai silenti. “Cover My Eyes” è la pausa che ci voleva, intermezzo strumentale che è sussurro ad apocalisse imminente, e che troviamo di grande impatto dal punto di vista atmosferico.

Tutto esplode successivamente, eruzione che ci lascia con pelle viva, quasi a voler vivere a pieno il dolore. Non vogliamo dimenticare, lezione che lasciamo impressa sulla nuda carne come marchio il cui pulsare è cremisi costante per colore.

Cullati e poi scossi ci dibattiamo in questa tempesta, cadiamo attendendo di affondare, di scontrarci con un’acqua che sarà muro di lascive realtà. “Isolation Poetry” è una vera e propria opera dell’estremo, sorpresa che non ci aspettavamo e che consigliamo vivamente a chi vuole emozionarsi, apprezzando però anche il virtuosismo.  Mostruosi!

Stefano “Thiess” Santamaria

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