Recensione: Kalmonsäie

Di Stefano Santamaria - 24 Maggio 2017 - 0:00
Kalmonsäie
Band: Tervahäät
Etichetta:
Genere: Folk - Viking 
Anno: 2017
Nazione:
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78

Un’ombra danza su un bianco tappeto di neve, nodosi rami mossi da un vento flebile, una forza che arriva da lontano, distante segno di una vita serena, in cui tutto scorre, in pace. Queste le emozioni che i finlandesi  Tervahäät ci trasmettono, suoni semplici che ci raccontano di un folk talvolta acre, dai connotati distorti e che ci raccontano di radici black

La voce, a tratti stridula, si avvicina al concetto di sludge, come anche le cadenze, propriamente doom negli sviluppi. Tutto questo è in un contesto sonoro rarefatto, in cui una voce narrante poi fa capolino, una nenia cupa in cui alcuni effetti industrial si ripetono, ipnotici. 

Identità differenti convivono, spiritualità dalla nera fiamma, acustici fraseggi puramente folk e qualcosa di più corrosivo ed acido. C’è indubbiamente qualcosa di personale ed innovativo in questo full-length, un diverso modo di approcciare a un’attitudine conosciuta e che si basa sull’ambientazione, piuttosto che sulla forza. 

In tal senso, ci sentiamo di azzardare ad un nuovo modo di concepire il concetto di estremo, una mestizia profonda che va oltre determinati cliché, e che fa del rumorismo il proprio punto di forza. Suoni quotidiani, emozioni visive, cigolii di una mente che continua a viaggiare, lasciando corpo esausto a riposare, in silenzio. 

Kalmonsäie” è l’odore dei boschi, la quiete di quell’istante in cui si guarda il cielo, contemplandone la vastità, distaccandosi dall’inquietudine del presente. Full-length che non è alla portata di tutti, se non altro per la pazienza che ci vuole a comprenderne le sfaccettature e per l’apparente minimalismo dei suoni. Gli sviluppi, lenti, nascondono un’intricata gestione di intenti, perché è vero che molti pezzi si traducono in pochi elementi, ma è altrettanto innegabile che il crescendo dei suoni e la lunghezza delle tracce nascondono elementi tutt’altro che di semplice assimilazione. 

Caos, inerzia e poi pagani lapilli, rendono il disco davvero originale. Ritualità, ambient, esoterico avanguardismo ed acide sfumature di core sono gli elementi di un album che smuove e ci lascia piacevolmente colpiti.

Stefano “Thiess” Santamaria

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