Recensione: Live At Leeds

Di - 31 Maggio 2003 - 0:00
Live At Leeds
Band: The Who
Etichetta:
Genere:
Anno: 1970
Nazione:
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100

Quando si parla di Rock, quello autentico, datato ’60 – ’70,  loro non possono essere non nominati. Si escluderebbe un gruppo cardine di tutta la scena Rock internazionale di sempre. Per rendere omaggio ai The Who, ho scelto Live At Leeds, che oltre ad essere un live a dir poco leggendario, è anche decisamente la migliore espressione del gruppo, quella del periodo migliore, quando le alchimie all’interno della formazione erano perfette. Lo show inoltre ha una componente d’improvvisazione impressionante, sfociando spesso in selvagge ed infuocate jam. La storia vuole che i The Who tornati dal tour Americano del 1969, avessero a disposiozione numerose registrazioni on-tape dei loro show per poi poter realizzare un live. Townshend non riuscì a sentire tutte le registrazioni e chiese così al tecnico del suono Bobby Pridden di fare un gran bel falò di tutte le cassette. Chiamò il loro manager e chiese di fissare due show per il gruppo nella loro Inghilterra: uno alla Leeds University e l’altro alla Hull City Hall, ma le cassette di quest’ultimo furono danneggiate. E così il 14 Febbraio del 1970 i The Who si trovarono a tenere una delle più grandi lezioni di Heavy Rock della storia alla Leeds University. La prima edizione dell’album conteneva solo 6 tracce, che poi nelle ristampe diventarono in tutto 14. Esiste anche una versione Deluxe in doppio cd, ma per questa recensione faccio riferimento alla Extended Versione della Polydor del 1995. Di date, fatti, numeri, nomi ne abbiamo già detti anche troppi, ce ne sarebebro altri, ma ora bisogna parlare della musica, perchè Live At Leeds ne è un monumento.

L’opener Heaven and Hell, è sicuramente la più bella canzone di quelle scritte dal bassista John Entwistle. Infatti il songwriting è quasi sempre stato compito di Pete. La song ha riff taglienti, è aggressiva e ha come motore ritmico il perenne drum solo di Keith Moon, instancabile dietro ai suoi tamburi. Le fantasiose melodie che Townshend riesce a ritagliare, con la sua chitarra, ne fanno una canzone dall’attitudine sanguigna. Nella versione originale in studio c’era anche un certo Jimmy Page a suonare la chitarra. I Can’t Explain, parte subito, non concedendo molto tempo per gli applausi. Il primo singolo di sempre dei The Who, ricca di carica melodica, possiamo dire che è stata sempre parte dei concerti dei The Who. Dopo i 2 minuti di questa song Roger Daltrey spende le prime parole, d’altronde è il suo compito da front-man a relegarlo a questo contatto con il pubblico. Parte con gli arpeggi della chitarra di Pete la terza canzone, una celebre cover di Fortune Teller, originariamente di Benny Spellman, coverizzata anche dai Rolling Stones. Si trasforma in un turbinio di schitarrate che si placano solo con l’attacco immediato della song successiva, Tattoo. Molto più distesa degli episodi precedenti, grazie anche alle trame più dilatate di chitarra e batteria; la canzone parla di due fratelli che decidono appunto di tatuarsi, per dimostrare a tutti di essere veri uomini, contro il volere dei genitori. Ancora una pausa, giusto per permettere a Roger di presentare la successiva canzone, ancora una cover questa volta di Mose Allison, Young Man Blues. E qui quasi certamente raggiungiamo uno dei punti più alti del concerto. Infatti la rilettura dei The Who di questa canzone blues, è spezzatissima e selvaggia, gli strumenti attaccano la voce di Roger con sincopate scariche elettriche. Grandissimi il solo di Townshend e la velocità con cui John tocca le corde del suo basso. Ora Daltrey si diletta a presentare le tre canzoni successive: Substitute, Happy Jack ed I’m a Boy, che verranno ancora una volta eseguite senza pause tra l’una e l’altra. Roger diverte il pubblico anche con battute, ed i molti presenti partecipano e si lasciano andare a fragorose risate. Substitute che ha detta di molti è il miglior singolo mai realizzato dai The Who, è un’altra delle canzoni probabilmente suonate ad ogni show dei The Who, grintosa e dal grande ritornello melodico. Su tempi più sfiziosi parte Happy Jack, che poi esplode in tempi vorticosi con l’arrivo del ritornello, dove la batteria di Moon fa da collante con tutto il resto. I’m a Boy fu scritta da Pete come parte di un progetto più ampio chiamato Quads, dove in un futuro non molto lontano si sarebbe potuto scegliere il sesso dei propri figli. La famiglia protagonista della vicenda narrata dalla canzone, aveva chiesto quattro figlie femmine, ma ne riceve tre più un figlio maschio. E la canzone non è altro che il lamento del ragazzo per l’inaspettato errore. Ricorda un pò il genere “surf” dei Beach Boys ma i riff di chitarra sono completamente Who. La successiva e splendida A Quick One, While He’s Away è una sorta di mini Rock-Opera, che originariamente era composta da sei movimenti ben precisi e differentemente strutturati. Questa versione diventa così un mix riuscitissimo di vari stili diversi dal rock, al pop, al country. La successiva Amazing Journey/Sparks è una selezione di due canzoni tratte dalla maestosa e celebre opera rock Tommy, probabilmente l’album più famoso del gruppo inglese. Qui vi sono solo i 7 minuti di questi due episodi, ma i The Who hanno suonato tutta l’opera live in numerosissimi concerti, e stiamo parlando di un’ora e 15 minuti di musica filata, una vera e propria maratona, decisamente non alla portata di tutti. A seguire ancora cover, la prima è Summertime Blues, di Eddie Cochran. Un pugno di accordi tipicamente rock’n’roll, ed ancora uno stile incofondibilmente Who. Altre canzoni di Cochran come My Way e C’mon Everybody, hanno fatto parte delle scalette dei The Who per anni. La seconda cover è Shakin’ all Over, uno dei primissimi esempi di brit-rock. Infatti fu scritta dai The Pirates che con questo singolo scalorono la classifica inglese, giungendo fino al primo posto all’inizio degli anni ’60. La song è un attacco frontale micidiale, assolutamente elettrico e straripante. L’inno del gruppo, la seguente My Generation, che in sede live raggiunge il quarto d’ora di durata, diventando ogni volta sempre diversa dalla versione della sera precedente. Tipico esempio di inno rock immortale, i cui versi più celebri recitano: “Spero di morire prima di diventare vecchio”. A chiudere tutto c’è la coinvolgente Magic Bus. Keith e John non sono molto sotto i riflettori: per il primo infatti la canzone se ne va via quasi tutta di wooden block, per il secondo è costruita su un groove ritmico semplicissimo ed efficace, che però a John non piaceva suonare. Spazio quindi all’armonica di Roger e alle crescenti melodie della chitarra di Pete.

E per finire? Null’altro. Ascoltate Live At Leeds e lasciate che sia la musica a parlare.

Francesco “madcap” Vitale

Track-list:

1. Heaven And Hell
2. I Can’t Explain
3. Fortune Teller
4. Tattoo
5. Young Man Blues
6. Substitute
7. Happy Jack
8. I’m A Boy
9. A Quick One, While He’s Away
10.Amazing Journey/Sparks
11.Summertime Blues
12.Shakin’ All Over
13.My Generation
14.Magic Bus

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