Recensione: Magnum Chaos

Di Stefano Usardi - 4 Marzo 2017 - 10:00
Magnum Chaos
Band: Neravendetta
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2016
Nazione:
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70

Meritatissimo esordio discografico per i sardi Neravendetta, che dopo una gavetta durata dieci anni e numerosi cambi di formazione decidono che chi fa da sé fa per tre e lanciano sul mercato (per il momento solo in versione digitale) questo “Magnum Chaos”. Il genere di partenza è un black metal melodico, ma fin dai primi ascolti si capisce che la definizione sta un po’ stretta ai nostri baldi sardi, che così decidono di screziarlo con influenze più viking e condire il tutto con melodie dilatate e solenni e sporadici inserti folk che, sfruttando alcuni strumenti della tradizione folkloristica del sud Italia, donano rotondità e spessore all’album e ai temi cosmici in esso trattati.

Dopo aver ammirato per un momento la suggestiva copertina si parte con l’introduzione compassata di “A Cosmic Journey” che, in un lampo, cede il passo a ritmi più sostenuti; quello che salta all’orecchio è sicuramente il gusto per le melodie del trio sardo, che con la loro maestosa solennità si impossessano della scena stemperando un po’, ma solo un po’, la cattiveria tipica del black metal. Ottimo inizio. La successiva “The Traveller” inizia con un riff ovattato, rapidamente affiancato dal resto del gruppo che si lancia nella proposizione della melodia portante. Il brano, dal potente afflato epico, gioca con ripetuti cambi di atmosfera e velocità, alternando blast beat furenti a passaggi più compassati e sognanti, tornando più volte sulla melodia portante e rielaborandola a seconda delle necessità. La voce (anche per via di un bilanciamento dei suoni perfettibile) risulta un po’ in secondo piano, quasi relegata a svolgere un lavoro sottotraccia per non distrarre l’ascoltatore dall’immenso scenario descritto dal resto del gruppo, ma a conti fatti la scelta, voluta o fortuita che sia, risulta azzeccata. “Sirius” parte in modo più canonico, con una batteria potente e chitarre taglienti che sorreggono urla lancinanti, ma ad un certo punto qualcosa cambia: la melodia si fa più raccolta, più narrativa, e dai meandri dello spazio compare lo scacciapensieri, strumento tipico del sud Italia, che reclama il suo spazio come protagonista della scena prima del ritorno in grande stile delle chitarre le quali, con un intreccio melodico carico di feeling, richiamano tutti all’ordine. Sul finale si torna a ritmi più arrembanti dettati da una batteria quadrata, giusto in tempo per le sfuriate di “Aldebaran”, traccia più breve del lotto. Anche qui, però, tra un blast beat e l’altro non mancano certo alcune piacevoli sorprese. Nonostante la breve durata, infatti, la canzone rifiuta di lasciarsi andare al mero martellamento sonoro, screziandosi di elementi diversi e condensandoli tutti in poco più di quattro minuti: ecco, quindi, che a gelide rasoiate chitarristiche si affiancano improvvisi squarci di epicità e fuggevoli momenti di maestosa malignità. “Polaris”, introdotta da un giro di chitarra che costituirà la sua melodia portante, gioca per buona parte del suo minutaggio con la commistione tra, appunto, melodie solenni e ritmiche furibonde, commistione che trova il suo compimento nell’ottima sezione solista che domina la seconda metà prima di tornare alla melodia con cui si era aperta la canzone e chiudere idealmente il cerchio.Nonostante la traccia risulti, tra quelle finora ascoltate, la più lineare e (se vogliamo) monotona, proprio per via della sua ipnotica ripetitività e delle lunghe sezioni strumentali si lascia comunque ascoltare risultando, a mio avviso, un’ottima canzone da viaggio. “Vega” segue più o meno le stesse coordinate, seppur con una maggiore varietà ritmica e restando più vicina ai normali confini del black metal propriamente detto, a discapito del valore ipnotico della traccia precedente, mentre la conclusiva “Sailing to Chaos” racchiude nei suoi sei minuti abbondanti tutte le caratteristiche del gruppo sardo, miscelando (anche se, stavolta, non sempre in modo omogeneo: si veda ad esempio lo stacco a mio avviso troppo netto verso la fine del secondo minuto) rabbia e melodia, disperazione, solennità e trasognata sorpresa e concludendo il tutto in modo semplice ma suggestivo.

Al termine dell’ascolto, e al netto di qualche comprensibilissima sbavatura (stiamo comunque parlando di un esordio autoprodotto), mi sento di promuovere a pieni voti questo “Magnum Chaos”, nella speranza che il risultato più che buono conseguito dai Neravendetta funga da sprone al gruppo sardo per continuare su questa strada, visto che la qualità c’è e si sente.
Pollice alto, ragazzi.

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