Recensione: Manipulating The Host

Di Daniele Ruggiero - 11 Marzo 2017 - 0:00
Manipulating The Host
Etichetta:
Genere: Grindcore 
Anno: 2016
Nazione:
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70

Vi siete mai chiesti cosa vi potrebbe accadere se un bel giorno tre alieni, completamente sballati, decidessero di rapirvi? La risposta, ahimè, rimane esiliata nell’ignoto, ma una vaga idea potremmo scovarla nel nuovo, folle album dei Corporal Raid.

Il terzo massacrante platter del trio milanese potrebbe essere, senza ombra di dubbio, l’agghiacciante colonna sonora di un’esperienza extraterrestre ai limiti dell’immaginazione. Sedici torture orripilanti, di breve ma intensa durata, compongono “Manipulating The Host”. Un disco brutale di genuino grindcore che non guarda in faccia a nessuno se non per sputare un’efferata violenza gratuita. 

I Corporal Raid, all’interno della navicella aliena, si divertono a tormentare lo sventurato ostaggio con sonorità rasenti al death metal in cui vengono iniettate brevi scariche elettriche. Un’impressionante pioggia di martellanti blast beats si abbatte sulla vittima assumendo le sembianze di crudeli morsi, mentre riff compulsivi si trasformano in frustate laceranti. Sotto l’abbagliante luce gelida dell’obitorio galattico, i carnefici marziani riversano un bollente e putrido pig squealing che ustiona il corpo del sequestrato. 

I tentacoli incontenibili del trio schizofrenico agitano un bisturi tagliente che sembra dirigere un’orchestra impazzita e concentrata a distruggere qualsiasi forma di melodia a favore di un pandemonio esilarante. Le membra dell’uomo martoriato vengono trapanate da ritmi vertiginosi che non conoscono pause. I dolori lancinanti di questo tremendo oblio si placano soltanto in qualche breve intermezzo, come accade in ‘To Feed In Malformed’ e nella strumentale e cadenzata ‘As One’.

Il martirio si consuma in soli ventotto minuti, moltiplicati da uno stato di sofferenza indescrivibile nel quale viene immersa la povera vittima. Il disco volante viaggia nel tempo e nello spazio tracciando virate improvvise e curve vorticose dalle traiettorie impensabili che inducono alla pazzia.

“Manipulating The Host” è un’oltraggio sonoro imbevuto di ironia, non è immediato, non parla ma grugnisce, è sporco, maleducato e non conosce minimamente il termine pietà. 

Un’autopsia roboante che lascia ingenti cicatrici delle quali, un giorno, potrete andarne fieri.

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