Recensione: Menthell

Di - 7 Luglio 2012 - 0:00
Menthell
Band: Iblis
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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79

Follìa: stato di alienazione, di grave malattia mentale, [..] comportamento di gruppi che, in determinate circostanze e per reciproca suggestione, rivela una comune situazione psicopatologica, manifestandosi con allucinazione, deliri paranoici, fanatismo sociale e religioso; l’espressione è spesso usata in senso attenuato e scherzoso, con allusione a mode, infatuazioni temporanee. (Diz. Treccani)


Definizione, questa in apertura di recensione, che si adatta in maniera precisa e puntuale al disco d’esordio dei polacchi Iblis. “Menthell”, questo il nome scelto dalla band di Cracovia, rappresenta in musica atteggiamenti, paranoie, comportamenti border-line e manie che dimorano dentro delle menti instabili. Musica deviante, schizofrenica, adatta a evocare i demoni che si nascondono tra gli anfratti di quella che, spesso, cataloghiamo in maniera frettolosa come insanità mentale. Pensieri che si susseguono rapidi come lampi di flash sparati a pochi centimetri dagli occhi che disorientano, stordiscono in un continuo saliscendi mentale al perenne confine tra sanità e patologia. È proprio su questo sottilissimo filo che la band ha deciso di giocarsi tutte le carte a disposizione nel mazzo, offrendo alla numerosa platea amante del genere un disco che definire eclettico è fin troppo riduttivo. Come in un nero labirinto ci addentriamo nella proposta musicale degli Iblis coscientemente inconsapevoli di cosa ci si possa pararsi d’innanzi nel corso del metaforico avanzar a tentoni. Gli scenari cambiano in maniera netta con la velocità di un battito di ciglia così come fugaci e celeri sono i pensieri che passano nella  mente monopolizzando l’intero organismo. Un labirinto nero fatto di pareti bianche e lucide su cui le luci fredde ed impersonali dei neon si infrangono tra atmosfere malate, neri condotti attraversati dal libellule con teste da iguana, pianeti lontani e galassie implose, ingranaggi consunti di orologi rotti in un inferno mentale dominato dal suono di questi pazzi ed abilissimi musicisti polacchi. Release che è caratterizzata in toto dalla grande versatilità e padronanza della voce di Zgred, unita ad un affiatamento evidente che rende il suono degli Iblis molto caldo e coinvolgente. Suono che, bisogna dirlo, è  impreziosito da delle linee di basso a dir poco eccellenti, finalmente non relegate al ruolo di semplice riempitivo ritmico, bensì valorizzate in maniera egregia e capaci persino d’essere parte caratterizzante di tutto l’album.

Poco più di mezz’ora di quello che gli Iblis amano chiamare “Nuklear Rock’n’Roll” sono più che sufficienti per tributare il giusto merito a questo gruppo di musicisti, arrivati alla pubblicazione del primo full-lenght ad otto anni di distanza dalla pubblicazione del primo demo “Follow Their Steps”. Tra lamenti, nenie disordinate e confuse in un’orgia di sorrisi sardonici, “White Claudia” apre il sipario sulla proposta musicale del combo polacco. Incipit dal vago sapore progressivo che si perde in una canzone dominata in tutto e per tutto dal mid-tempo in cui Zgred sguazza come un pesce in uno stagno troppo piccolo per poterlo contenere. “12 Sycamores” si fa più veloce e reattiva, vergata da ottimi riff e da una doppia cassa in evidente ascesa. Nella sua totale caoticità, “Menthell” è un disco molto gradevole ed apparentemente fuori dagli schemi. In realtà la struttura delle canzoni è piuttosto ricercata, varia tanto da risultare estremamente avvincente, segno di una grossa ricerca da parte del gruppo, unita a delle evidenti e quantomai ispirate competenze tecniche.
“Poison In Your Food” e “Don’t Eat My Legs” continuano idealmente a battere la strada intrapresa in partenza, tra cambi di ritmo, voci che si rincorrono in improbabili duetti dal marcato sapore schizofrenico, ed un dolce fischiettio. Su tutto spiccano le ordite trame di basso tessute da Traktor (autore, tralatro, della particolare copertina) da dove nascono strutture complesse, castelli di carta invisibili costruiti da mani ossute incatenate ai termosifoni. Ritmiche angustiate e sofferenti urlate da bocche contorte ci conducono alla claustrofobica “Origin”, capace di dimenarsi fino alla conclusiva “Bill Skins Fifth”. Canzone che è chiamata a chiudere il disco ma che, in verità, non mette la parola fine al lavoro. A concludere un minuto di silenzio intervallato da urla e lamenti in sottofondo per quella che può essere considerata come una ghost-track a tutti gli effetti. Ultimo colpo di coda di un gruppo oggettivamente sopra le righe. Attraverso i meandri della mente  umana, in un viaggio senza destinazione con il gusto un po’  masochistico del vagar tra ombre, abiti consunti e costringenti, cinghie di cuoio e mura imbottite.
Volete salire?

Daniele Peluso

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TRACKLIST:
01. White Claudia      
02. 12 Sycamores         
03. Menthell     
04. Poison In Your Food          
05. Don’t Eat My Legs         
06. Origin     
07. Bill Skins Fifth

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