Recensione: Napalm For Breakfast

Di Matteo Di Leo - 17 Aprile 2013 - 15:23
Napalm For Breakfast
Band: Cube
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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65

 

Volete sapere qual è stata la prima cosa che mi è venuta in mente alla fine del primo ascolto di “Napalm For Breakfast”? «Ma thrash ‘till death, che domande!». D’accordo, magari è un po’ troppo scontato e se vogliamo anche puerile, ma è una frase che per quanto semplice e abusata, racchiude compiutamente lo spirito che muove i Cube.

La band veneta, nata nel 2011 ma precedentemente attiva con il nome Wrong, nella mezzoretta scarsa di questo debutto autoprodotto si dedica anima e corpo per l’appunto al thrash metal più groovy, genere che nacque e spopolò nei 90’s trascinato dalla veemenza e dall’immensa classe dei Pantera, che si possono considerare la fonte primaria d’ispirazione del quartetto tricolore. Assieme al combo di Phil Anselmo e Dimebag Darrell, sono da citare anche altri protagonisti ‘minori’ di quella scena come Skinlab e Pissing Razors, spesso considerati alla stregua di semplici epigoni dei cowboys texani ma tutto sommato capaci di tirar su una carriera di rispettabile. A essi aggiungiamo pure echi degli ultimi antieroi mascherati che il mondo, in particolar modo quello del mainstream metal ha conosciuto, ossia gli Slipknot, la cui sinistra presenza è ravvivabile in alcune ‘disturbanti’ (e disturbate) soluzioni al limite del noise utilizzate come introduzioni di alcune canzoni nonché per alcuni passaggi vocali di Jester.

Nove pezzi (di cui un outro strumentale, “Principles Of Wayout” e la cover di “Bread To Breath” dei maestri britannici Napalm Death) che non hanno certamente nell’originalità la loro arma più affilata ma che nel complesso risultano per lo più piacevoli, ben scritti e suonati, nonché prodotti decisamente bene. Il basso distorto di KKTZ, l’affilatissima batteria di Alex e la sei corde di Bras (attitudine tutt’altro che da guitar-hero, visto il numero esiguo di soli) formano la giusta base per le composizioni dei Nostri, squadrata come un cubetto di porfido, su cui imperversa uno Jester schiumante rabbia.

La tripletta iniziale, composta da “Zombies Are Walking”, la title-track e l’ottima “I’m Just A Drunkard” mette bene in chiaro le intenzioni dei ragazzi: suonare sporco, andare dritto al sodo, scatenare il pogo.  Niente di più semplice nelle intenzioni ma anche nei fatti se puoi contare su canzoni cosi godibili e adattissime allo scopo. Anche “When The Mind Began To Play” si fa rispettare, fosse altro per il coro di facile presa che s’innesta in una delle composizioni più violente del lotto. Non convince, invece, “Revolution” la quale, nonostante un riff slayeriano, si dimostra fin troppo derivativa degli ultracitati Pantera, mentre “Freak Show” nonostante sia un buon pezzo, riporta troppo fedelmente alla mente le maschere di Des Moines.

Un debutto tutto sommato piacevole, con gli inevitabili alti e bassi tipici di ogni ‘primo passo’ ma che si accaparra almeno due risultati: farci divertire in parecchie sue parti e palesare le indubbie capacità dei Cube.

E non è poco.

Matteo Di Leo

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