Recensione: Nothing but the Truth

Di Nicola Furlan - 6 Aprile 2015 - 6:00
Nothing but the Truth
Band: Spellbound
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2015
Nazione:
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68

Spellbound sarà un nome sconosciuto ai più, considerata anche la loro latitanza dalle scene durata quasi un decennio. Esordirono sul mercato con un validissimo, quanto ormai introvabile, “Incoming Destiny”. Fu un disco ricco di flavour bay area ma, oltre a ciò, con quel full-length il quartetto tedesco riuscì nell’intento di dar nuovamente linfa vitale ad un genere che in quel periodo stava riesplodendo sulla scia di una rinata necessità di puro thrash metal. Il gusto westcoast era puntellato di ferocia teutonica, quella dei Kreator di fine anni Ottanta per capirsi. Il risultato fu davvero brillante tanto che possiamo affermare che con quel disco gli Spellbound segnarono una tappa storica difficile da dimenticare.
Venne poi il successore (detta fra noi, un mezzo fallimento). Anno 2007, titolo “Nemesis 2665”. Il sound perse mordente. La ferocia e lo slancio compositivo presente nell’esordio scemarono completamente. Il fallimento, con grande probabilità, portò la band all’esilio artistico in quel di Baden-Württemberg, terra natia dei nostri.
Nessuno avrebbe mai scommeso un centesimo circa il ritorno sulle scene della band del frontman David Maier. Invece, reclutata da zero una nuova formazione, eccoli nuovamente on-the-road, con l’entusiasmo di un tempo… ed, ahimé, anche con le stesse idee.
“Nothing but the Truth” esce lo scorso fine febbraio per la tedesca Bret Hard Records e si attesta nuovamente ad esser una delle tante valide uscite thrash targate old school. Questa volta l’approccio è meno potente rispetto quanto concepito agli esordi. La band dà vita ad un thrash metal stile Testament anni Novanta, quelli più heavy, mescolando agli stessi un po’ di marciume teutonico, tanto per non perdere identità, per tenersi saldi alle proprie radici. Il disco ha ben poco da dire, ma è godibile. I brani scorrono via bene e sono ben distinguibili gli uni agli altri, segno questo del fatto che le idee ci sono state così come pure c’è stata una minima ricercatezza nel songwriting. Ascolterete sezioni soliste minimali, cori, accellerate, cambi di ritmo e non solo tirato ed insipido thrash metal per falliti copioni con manie di grandezza. Gli Spellbound ci credono e producono buona musica. Musica che sicuramente non scriverà la storia del genere né, con molta probabilità, si farà ricordare a lungo.
Bella la copertina che, anch’essa, riporta alla memoria i vari capolavori grafici di band quali Toxik, Whiplash, Uncle Slam e via dicendo. Non possiamo dire nulla riguardo ai contenuti del booklet in quanto in possesso della sola versione digitale.
In definitiva, non aspettatevi qualcosa che non abbiate già sentito. Il sound resta quello che ha fatto storia: ritornelli azzeccati, graffiante riffing in primo piano ed un parco suoni caustico al punto giusto. ‘New World Puppet’, ‘Broken Hope Society’ ed ‘Xecution Wave’ sono i brani che vi consigliamo di ascoltare prima di procedere all’acquisto. Onesto lavoro sporco.

Nicola Furlan

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