Recensione: On A Storyteller’s Night

Di Mauro Gelsomini - 11 Luglio 2002 - 0:00
On A Storyteller’s Night
Band: Magnum
Etichetta:
Genere:
Anno: 1985
Nazione:
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95

Tony Clarkin e Bob Catley crearono una delle pìù sottovalutate band degli anni ’80. Oggi cult band, i Magnum agognarono invano di sfondare nel music business per anni, senza mai darsi per vinti, finché alla fine degli anni ’90, presero vie differenti e si sciolsero (per riunirsi nel 2001).
Il loro sound iniziò a plasmarsi alla fine degli anni settanta, lentamente ma progressivamente. Fu nel 1985, con l’uscita del loro quinto album, “The Eleventh Hour”, che la band trovò una dimensione personale, e si propose come punto di riferimento per l’aor ottantiano.
“On A Storyteller’s Night” fu l’apice di questo stile, ma più spesso viene semplicemente dimenticato piuttosto che considerato un capolavoro della parte più dura di tutto il filone aor. Forse perché con questo album i Magnum sfumarono il loro lato più spigoloso e duro, enfatizzando melodie orecchiabili e accattivanti.
Forse in pochi hanno ascoltato la leggendaria voce di Bob Catley, ma quelli che l’hanno fatto si sono innamorati del trasporto e dell’emozione che riesce a conferire ad ogni sua performance. Bob ha un debole per la drammaticità e dà alle sue melodie un senso di rivelazione visionaria che risulta sempre magico all’ascolto.
La chitarra di Clarkin è ora dolce e suadente, vellutata al punto giusto per avvolgerci in una fredda notte d’inverno, ora pungente e gelida, come il vento che infuria scuotendo i vetri delle finestre. Ad ogni modo, le sue note fervono di melodia e hanno un gusto davvero speciale.

Ma sono le canzoni che fanno l’album, e “Storyteller” è pieno di pezzi straordinari, a partire dall’opener, “How Far Jerusalem”, che fa subito capire le intenzioni dei Magnum: il brano è un inno positivo, aperto da un’intro di flauti e voci echeggiate che scuotono l’atmosfera col loro suono vibrante, prima di addolcirsi nel riffing brillante e nei toni più diretti di Catley. L’epico motivo iniziale sfocia in un refrain galoppante, per concludere questo magico viaggio infarcito di ingegnosi feedback, vocals pacate e delicati synth di sottofondo, che avvolgono il tutto con una classe straordinaria.
“Just Like An Arrow” è la mia canzone preferita, potrei cantarla anche nel sonno. E’ un pezzo pop-rock dannatamente commerciale (ma chi se ne frega?), melodico al massimo, con un superbo ritornello che rapido trascina nell’abisso dell’assuefazione (musicale, s’intende). Si finisce per contare ogni nota, aspettando con avidità il prossimo delizioso chorus per poi sentire un pizzico di tristezza quando si esaurisce prematuramente…
Accattivante e senza tempo è la titletrack, con la sua aura imponente, illuminante, quasi mistica. Il formidabile ritornello è un vetro in frantumi, rispetto alle strofe così sofferte, e con la sua melodicità rinvigorisce la canzone impreziosendola di un’atmosfera forse inattesa, facendo trapelare il fascino del vecchio mondo nelle sue liriche fantastiche, che scolpiscono immagini di fiamme che escono dalle bocche di potenti draghi che volteggiano impavidi sui villaggi dei contadini impauriti…
Le tastiere dominano in “Before First Light”, forse la song più pop-oriented del disco (imperlata tuttavia da un guitar solo mozzafiato), pulita e diretta, serrata e infinitamente melodica, incarnando alla perfezione un sound dannatamente anni ’80, quello che molte band di oggi non riescono a trovare.
I Magnum furono famosi per i loro brani contro la guerra, e “Les Morts Dansant” può essere aggiunta alla lista. La storia di una battaglia diventa il ritratto della pace, con un’intro riflessiva e delicata, quasi a non voler coprire la pomposa melodia vocale, con i pochi synth ad iniziare la progressione del pezzo: gradualmente gli strumenti fanno il loro ingresso, percussioni, diverse chitarre, persino le campane…
Le percussioni hanno una parte fondamentale in “Endless Love”, con una forza che apre la strada alle chitarre taglienti e agli svavillanti synth. Un pezzo armonioso e scorrevole, basato su diversi elementi fusi insieme in un sound compatto, curato nel dettaglio, proprio a dimostrazione del fatto che la classe dei Magnum e del loro aor è davvero eccezionale.
“Two Hearts” è energica, adatta affinché la voce di Catley brilli in tutta la sua genialità nel curare le liriche, modellandosi su ogni singola parola con grande passionalità, e rendendo le linee penetranti e incisive. Il ripetitivo assolo di Clarkin squarcia quest’atmosfera e lascia tastiere e percussioni di sottofondo.
“Steal Your Heart” ripercorre il sentiero spianato da “Just Like An Arrow”, un’altra accattivante song AOR sostenuta da un notevole tappeto tastierisco che fa da tormentone all’intero brano. Catley distorce le linee che suonano così più profonde, a dispetto della loro natura diretta e istintiva, risultando però troppo ripetitive, ma riuscendo sicuramente nell’intento di dare un ritmo quasi danzante.
Il pezzo più pesante dell’abum è “All England’s Eyes”, che si discosta dal resto proprio per la durezza del sound. Splendide le decorazioni progressive che ricordano i Magnum degli inizi, ma forse qui si sente la mancanza di quella orecchiabilità che ha reso irresistibili gli altri pezzi dell’album. Il quale si conclude con “The Last Dance”, molto delicata e malinconica, emozionante vetrina per la sontuosa voce di Catley, qui accompagnata dal pianoforte e da synth di grande effetto, creando nel complesso una ballad di grande respiro. Catley è affiancato nel ritornello da un ampio coro, la cui eco aumenta il senso di solitudine. Il pianoforte chiude il sipario con uno struggente gocciolio di note, quasi di lacrime, a manifestare tutto il dolore del pezzo.

“On A Storyteller’s Night” è assieme a “Vigilante” e “Wings Of Heaven” il top raggiunto dai Magnum negli anni ’80. Di questo trittico, “Storyteller” è il disco che più rimane attaccato al sound originale del gruppo, con il suo immaginario fantastico, i suoi sentimenti pacifisti e la sua assoluta dedizione all’amore visto come cura per ogni cosa.
Questo disco è pura classe, elegante, mai troppo melenso e banale come altri album che lo seguirono, racchiudendo la parte intimista nel mezzo dell’album. Di facile ascolto, il disco sposa alla perfezione l’hard rock più pesante e il più commerciale AOR, che mi sento di consigliare a tutti gli amanti della musica ben suonata e di melodie azzeccate che saranno ricordate nel tempo.

Tracklist:

1. How Far Jerusalem
2. Just Like An Arrow
3. On A Storyteller’s Night
4. Before First Light
5. Les Mortes Dansant
6. Endless Love
7. Two Hearts
8. Steal Your Heart
9. All England’s Eyes
10. The Last Dance

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