Recensione: Only human

Di Beppe Diana - 7 Aprile 2002 - 0:00
Only human
Band: At Vance
Etichetta:
Genere:
Anno: 2002
Nazione:
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75

Grazie all’abdicazione del buon David nei miei confronti (Mago de Oz rules, NdBeppe), sono entrato in possesso del nuovo capitolo discografico targato At Vance, straordinaria band teutonica che al ritmo quasi stakanovistico di un album all’anno, tenta ancora una volta d’accaparrarsi le simpatie del popolo metallico europeo dopo aver conquistato i cuori e l’affetto dei supporters nipponici spargendo proseliti su tutte le riviste specializzate del settore del paese asiatico.
Dunque ancora una volta il sestetto capitanato dell’estroso axeman Olaf Lenk (già con Zed Yago e Velvet Viper) dimostra di essere una delle poche bands del vecchio continente ad aver tratto giovamento dagli insegnamenti dalle lezioni impartite nella scorsa decade da gente del calibro di Rising Force e Stratovarious, ereditando da entrambe le formazioni molto più di una semplice estimazione personale.

Ma se con le loro ultime realeases sia i finnici che il dio-chitarrista avevano un po’ deluso le nostre aspettative, i nostri amici dimostrano di possedere quella marcia in più, quella spinta creativa che permette ai brani di mantenersi su ottimi binari sonori cercando di colpire nel segno senza mai annoiare, o quasi, l’ascoltatore, anche perché uno dei maggiori pregi da sempre riconosciuto agli At Vance, è quello di non strafare. Infatti anche se l’intera riuscita dell’album verte nelle sapienti mani dell’abile guitar hero, il buon Olaf dimostra ancora una volta, come si può essere dei virtuosi mettendo la propria abilità sulla sei corde al completo servizio della band prima, e del songwriting in generale poi. Come in passato, anche questa volta niente e nulla viene lasciato al caso, non ultima una produzione molto potente e cristallina atta a mettere in risalto il duro lavoro della band che si destreggia in maniera superba fra sprazzi di melodic power e partiture più corpose di metallo sinfonico con la chitarra e la tastiera che sovente ricamano vetusti intrecci sonori.
Da notare come in questa nuova fatica discografica i brani atmosferici sono in maggior numero rispetto al passato, questo non per meri scopi commerciali, almeno lo spero, ma per risaltare maggiormente le qualità canoro/espressive del vocalist Olivier Harthmann, uno di quei pochi singer in grado di lasciare il vuoto attorno a se con il suo classico timbro vocale a metà strada per certi versi fra il miglior J.L. Turner e il miglior Kotipelto.

Giuro che difficilmente mi sono trovato in difficoltà a scegliere delle possibili highlists, anche perché i brani meriterebbero tutti una menzione particolare, ma dovendo scegliere opterei per la title track “Only human”, song dotata di uno di quei particolari chorus che ti entrano nella pelle già al primo ascolto, la ruffiana “Take me away” power track giocata fra brucianti accelerazioni in doppia cassa e refrain chitarristici di Malmsteen-iana memoria ,la suadente “Sing the song” che sembra davvero uscire dal songbook degli Abba, nonché la riuscita cover dei Rainbow “I surrender”, forse anche meglio dell’originale!

Gli At Vance sono una bomba ad orologeria pronta a scoppiare fra le vostre mani se solo gliene darete la possibilità, la classe e il talento innato sono dalla loro parte, ora tocca a voi!

Tracklist:

01) The time has come
02) Only human
03) Take my pain
04) Fly to the rainbow
05) Hold your fire
06) Four season/spring
07) Take my pain
08) Time
09) Solfeggietto
10) Sing this song
11) Witches dance
12) Wings to fly
13) I surrender (european bonus track)

Beppe “HM” Diana

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