Recensione: Opus Mortis VIII

Di Francesco Sorricaro - 12 Maggio 2011 - 0:00
Opus Mortis VIII
Band: Vomitory
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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75

Si può amare il death metal e prescindere da una band come i Vomitory da Karlstadt? La risposta è delle più scontate e la conosce chiunque abbia mai avuto modo di ascoltare od anche assistere dal vivo al brutale, eviscerante assalto sonoro di cui sono capaci i quattro svedesi da più di vent’anni a questa parte.

Rinverditi, da qualche anno e qualche album, i purulenti fasti del passato, i ragazzi battono il ferro finchè è caldo con questo ultimo Opus Mortis VIII, pubblicato sempre sotto Metal Blade, che non sposterà di una virgola, ne siamo sicuri, la lancetta dell’apprezzamento per la loro musica.

Il minaccioso ritmo del basso che introduce Regorge in the Morgue spalanca immediatamente il sipario al mondo Vomitory, sparando in pieno volto tutta la potenza e la velocità di cui sono capaci. I canoni sono sempre quelli: batteria che macina blast beat senza scadere mai nella monotonia, trascinando le membra di chiunque a seguire il ritmo forsennato che produce; assoli dissonanti e sguscianti e growling spaventoso da parte di un Erik Rundqvist sempre in ottima forma. Poco, ma sicuro, è questo l’highlight assoluto del disco, uno di quei brani destinati ad essere ospitati per anni stabilmente nelle setlist dei loro concerti.

L’andazzo prosegue, quasi senza sosta, con la successiva Bloodstained, nella quale è palese il mantenimento di quell’equilibrio tra velocità e groove messo magnificamente a frutto in Carnage Euphoria, con l’accellerazione che non si fa certo attendere, maturando in stile puramente hardcore.

Con They Will Burn e The Dead Awaken si battono territori un po’ diversi, dove durate decisamente più estese sono accompagnate da un mood e da un ritmo meno sostenuto, salvo un improvviso inasprimento nel finale della seconda: si tratta dei capitoli più riflessivi e narrativi del disco, che trovano il loro apice negli intermezzi evocativi di Hate in a Time of War, vera pietra angolare di Opus Mortis VIII, con i suoi innesti acustici e la sua dualità espressiva che culmina, manco a dirlo, quando la rabbia feroce si impadronisce del brano, con la coppia di chitarre che fanno il bello e il cattivo tempo, imponendo con forza la direzione emotiva che vogliono.

Dopo questo episodio, l’album ritorna immediatamente al sodo con una serie di proiettili di media caratura: roba da ragazzi per i Vomitory, che con tracce come Torturous Ingenious e Forever Damned dimostrano solo molto mestiere e nulla più.

La pesante cadenza di Shrouded in Darkness incupisce sempre più il tono di un album che si avvia ad esplodere gli ultimi colpi prima della conclusione, e si tratterà di due brani, che sono anche il colpo di coda dei veterani, che risollevano, proprio sul finale, il mood calante dell’intera opera. L’incedere marziale di Combat Psychosis, rotto dalle continue progressioni martellanti della chirurgica sessione ritmica, sottolinea tutta la malata devianza celata dietro la brutalità della guerra, ed affonda totalmente nell’argomento ispiratore principale di questo lavoro, proiettando quasi onomatopeicamente immagini di conflitto nella nostra mente.

Alla grande come si era iniziato, così si finisce con Requiem for the Fallen: una splendida chiusura, di rara violenza, dove scintillano le qualità di Tobias Gustafsson dietro le pelli, che in questo brano conclusivo dà sfogo a tutta la sua versatilità, donando ad un pezzo rapidissimo, di poco più di 3 minuti, momenti diversi ad alto grado di goduriosità.

Opus Mortis VIII termina così, con un finale che, molto abilmente architettato, lascia l’ascoltatore con un’insana voglia di rimettere tutto dall’inizio. Minimo sforzo per i Vomitory che, questa volta, sono sembrati limitarsi a svolgere il loro compitino, da bravi secchioni del brutallo, dando alla luce poco meno di quaranta minuti di musica che scorrono lisci come il vino dei castelli. L’amalgama perfetta presente nel precedente lavoro tra l’anima più distruttiva e quella più, diciamo, catchy del gruppo, in questo disco risulta un tantino mortificata, direi scollata, per non dire svogliata, ma di certo i danni, se così si possono chiamare, sono limitati dalla maestria di una band che riesce sempre, con pochi riff, a far drizzare i peli sulle braccia dei veri fanatici della scena.

Lunga vita ai Vomitory, dunque, e lunga vita al death metal!

Francesco ‘Darkshine’ Sorricaro

 

Tracklist
01. Regorge in the Morgue  02:32     
02. Bloodstained  03:03     
03. They Will Burn  04:03     
04. The Dead Awaken  05:03     
05. Hate in a Time of War  04:06     
06. Torturous Ingenious  03:31     
07. Forever Damned  03:32     
08. Shrouded in Darkness  03:35     
09. Combat Psychosis  03:41     
10. Requiem for the Fallen  03:17     

Durata totale  36:27     

 

Line-up
Erik Rundqvist  –  voce, basso
Tobias Gustafsson  –  batteria
Urban Gustafsson  –  chitarre
Peter Östlund  –  chitarre


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