Recensione: Oscillation

Di Tiziano Marasco - 19 Giugno 2013 - 9:08
Oscillation
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Genere:
Anno: 2013
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68

A memoria personale, i Trail of tears erano un signor gruppo. Di quelli che sembravano destinati ad avere una luminosa carriera e magari anche a portare una ventata di novità nel mondo del female fronted gothic metal. A dispetto di una carriera decennale, debitori di Tristania, Theater of Tragedy a Within Temptation, tra il 2000 e il 2005 i norvegesi sembravano pronti a fare il botto. Due ottimi dischi come Profundemonium ed A new dimension of might, buoni riscontri di pubblico, attenzione della stampa e perfino una citazione più o meno velata in Creek mary’s blood dei Nightwish. 

Poi di colpo il buio. Dischi ne vennero fuori ancora, ma i risultati andarono calando. Ed ora arriva  nel lettore questo Oscillation, e a fare due giri in rete si fanno scoperte piuttosto amare. Il gruppo si è splittato di nuovo, ma quel che è peggio, ad uscire è stato Ronny Thorsen, fondatore e unica figura fissa di una band che, in vent’anni, aveva visto avvicendarsi parecchi nomi rinomati nell’ambito gothic. Della formazione che troverete qui in calce, ovvero chi ha contribuito all’incisione del disco, sono rimasti solo Catherine Paulsen e Bjorn Erik Naess.

Oltre a ciò, i comunicati stampa delle due fazioni in causa sono pregni di acredine tanto che lo stesso Ronny considera l’avventura del suo gruppo come ormai conclusa. E viene in mente che il motivo per cui i nostri non abbiano fatto mai il salto di qualità siano proprio le bizze del mastermind.

Ad ogni modo, si è qui a parlare di Oscillation, album forse di commiato, che si rivela essere, seppur non trascendentale, più che buono. Bisogna dire che il fu quintetto da vita a composizioni non certo originali ma comunque molto personali e con una forte impronta identitaria. In particolare il sound si distingue per una sobria leggerezza, in piena controtendenza con lo stile attuale che pompa, in modo spesso assurdo, la base ritmica per coprire le possibili lacune dei cantanti.

Dall’altro si può anche prendere atto di come i nostri non cerchino minimamente di costruire le loro song attorno alla cantante, sebbene Catherine Paulse riesca comunque a prendere la scena alla sua controparte maschile. Un ottima prova la sua, che riesce a caratterizzare molto bene le canzoni senza bisogno di essere messa in posizione di rilievo né sugli strumenti né su Ronny. Tant’è però che sembra cantare solo lei. Ne vengono fuori parecchi episodi ispirati, come Lost in life o Path of destruction. Se non potete soffrire Annette Olzon però state lontani da Scream out loud, dato che lo stile della ex cantante dei Nightwish viene ripreso molto da vicino (nel caso opposto invece, si tratta del miglior pezzo del lotto). Unica nota stonata invece sono i cori soprani latino-goticheggianti che tanto piacciono a Morten Veland ma che qui risultano essere fuori luogo, dato che non troviamo né la grandeure decadente dei Tristania (male), né le superproduzioni degli ultimi Sirenia (molto bene).

Un buon disco, molto piacevole. Ma se da un lato, dato quello che si sente in giro negli ultimi anni, abbiamo buoni motivi per far festa, dall’altra rimane incontestabile che i Within Temptation rimarranno un miraggio per gli scandinavi. Tanto più che non sappiamo se la storia dei nostri verrà arricchita da ulteriori capitoli. Per ora la tranquillità che i nostri se ne siano andati, almeno musicalmente, in maniera dignitosa.

Tiziano “Vlkodlak” Marasco

 

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