Recensione: Paper Blood

Di Giulio Caputi - 22 Giugno 2005 - 0:00
Paper Blood
Band: Royal Hunt
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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65

I Royal Hunt giungono al loro ottavo disco in studio dopo essere stati sull’orlo dello scioglimento in seguito al cospicuo cambio di line up che ha visto l’ingresso in formazione del talentuoso chitarrista svedese Marcus Jidell, e il ritorno in formazione di Kenneth Olsen alla batteria. Si parte a bomba con “Break your chains” ed è subito Royal Hunt sound, canzone dinamica dal solito coro (iperfasullo come amo definirlo) ma che comunque rimane una discreta ed incisiva opener anche se un po’ anonima. Più convincente è la successiva “Not your kind”, strutturalmente più articolata, in cui tutti i membri ci mettono del proprio per renderla interessante, a cominciare dai vari riff di chitarra impreziositi da fughe barocche con la tastiera sulle medesime scale, il cantato di West è sicuramente all’altezza, ed il break centrale uno dei momenti più interessanti del disco. Un’intro di piano/keyboards che ricorda la Edith Piaf più struggente, fa da preavviso alla strumentale “Memory lane”, che fila liscia come l’olio lungo multiformi passaggi di synth, mentre “Never give up”, riprende in pieno il discorso musicale intrapreso su “The mission”, ritmo sostenuto, coretti orecchiabili e sonorità spaziali, insomma veramente niente di nuovo. Si prova a mescolare un po’ le carte con la successiva “Seven days”, che rimane forse la più interessante del platter, merito delle varie soluzioni adottate, dall’uso di un suono simil hammond, per passare ad effetti stile “star wars”, inserzioni di riff duri e ghirigori coristici almeno in questo caso non tanto scontati.

Parte sparata la seconda strumentale del platter “Sk 983”, che mette in evidenza la passione di Andersen per la musica classica (che novità!), quasi volesse affibiarsi il nominativo di Malmsteen della tastiera, oltre alla bravura di Jidell nel guitar solo (tecnicamente ineccepibile), ma rimango perplesso dinanzi ad un eccessiva ostentazione dei propri mezzi tecnici se a farne le spese è il songwriting. Fortunatamente a contraddirmi ci pensa la successiva “Kiss of faith” dal buon groove e con un West in un insolita veste da cantante soul rock, ne giova la canzone che possiede anche un discreto refrain. Di già sentito è il riff della title track “Paper blood” che se si eccettua l’entrata scenica del cantato/coro iniziale che ricorda molto il musical di Webber (Jesus Christ Superstar, per non parlare di Phantom of the Opera, ennesimo tributo verso un certo stile classico di intendere la musica), non convince comunque nel complesso. Gradevole è il lento di “Seasons change”, forse un po’ troppo pomposo, (io personalmente avrei snellito i cori). Il discorso viene chiuso da “Twice around the world” ennesima prova di forsa del duo Andersen/Jidell, bravissimi come al solito, ma alla lunga il pezzo distrae notevolmente.

Per concludere, sembra che Andersen si sia arrabbiato in seguito a tutti gli sconvolgimenti di formazione che il gruppo ha subito nell’ultimo periodo, e numerose tracce, soprattutto le strumentali, sono di una durezza insolita quasi a rappresentare uno sfogo del musicista danese, il lavoro però presenta alti e bassi, ci sono degli ottimi pezzi ed altri che invece sembrano essere dei riempitivi, io personalmente ritengo che la fase compositiva dei Royal Hunt (di Andersen?) si sia appiattita e abbia ripiegato sui tecnicismi per mascherare questa lacuna. Ripeto il disco è comunque godibile soprattutto per chi ha amato “The mission” ma in termini di originalità e di inventiva “Paper blood” non aggiunge nulla di nuovo al già vasto repertorio del combo scandinavo.

Tracklist:

  1. Break your chains
  2. Not my kind
  3. Memory Lane
  4. Never give up
  5. Seven days
  6. Sk 983
  7. Kiss of faith
  8. Paper blood
  9. Seasons change
  10. Twice around the world

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