Recensione: Pawn and Prophecy

Di Roberto Gelmi - 25 Gennaio 2018 - 10:00
Pawn and Prophecy
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2018
Nazione:
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77

Mentre i Symphony X sono entrati in studio per registrare il loro decimo album, il bassista Mike LePond (erede del grande Thomas Miller) pubblica per Frontiers Records il suo secondo lavoro solista, dopo il discreto esordio del 2014. Il mastermind del New Jersey conferma il sodalizio con il cantante Alan Tecchio (Watchtower, Hades) e il bandmate Michael Romeo in line-up. Il sound complessivo del platter, dunque, non si discosta da quello proposto quattro anni fa e la scaletta è altrettanto concisa. Sull’artwork stendiamo un velo pietoso, si poteva realizzare una copertina ben più efficace.
L’opener, “Masters of the Hall”, ha un buon tiro heavy-power, ma risulta un filo troppo lunga e ripetitiva nel refrain; si salva la sezione strumentale e l’acuto virtuosistico finale. Evidenti le influenze madieniane e il basso è valorizzato al mixing, una costante del full-length. Più rockeggiante (e senza tastiere) la seguente “Black Legend”, con il guitarwork quadrato di Lance Barnewold e linee vocali che omaggiano Ozzy Osbourne. Si torna su binari speed, invece, con “Antichrist”, pezzo non privo di atmosfere che richiamano i Symphony X (vedi cori come nell’opener). LePond si ritaglia uno spazio solista all’avvio di “I Am the Bull”: il suo basso ruvido è l’intro a una song che richiama i Judas Priest e regala altre finezze delle 4-corde nei suoi sei minuti e mezzo di durata. Il testo di “Avengers of Eden” (pezzo più corto in scaletta) è basato sul racconto The Doom that came to Sarnath di H.P. Lovecraft, una trama oscura e numinosa che ben si addice al sound power metal proposto. A detta di LePond il main riff è ispirato a quello di “House of Pain” dei Van Halen, reinventato in chiave Motorhead/Exciter e con Dio come riferimento vocale. Ancora una volta il binomio musica pesante-Lovecraft regala buona musica, chi non conoscesse lo scrittore statunitense corra a scoprirlo. “Hordes of Fire” non aggiunge nulla alla proposta dell’album, però Rod Rivera si dimostra un chitarrista di carattere e tutto trasuda metallo, come in un album dei Primal Fear. Nell’ultima mezzora il disco cambia pelle con due pezzi sui generis. “The Mulberry Tree” all’avvio sembra una song uscita da un disco dei Blackmore’s Night (come già in “The Quest”) e nel prosieguo si rivela una ballad dotata di sicuro pathos. L’assolo di chitarra acustica è tutto da godere e gli arrangiamenti folk fanno rifiatare prima dell’opus maximum rappresentato dalla title-track da venti minuti.

L’album, infatti, merita un ascolto semplicemente per “Pawn and Prophecy”, composizione ambiziosissima basata sul Macbeth, che vorrebbe ricalcare quanto conseguito dai Symphony X omerici di “The Odyssey (e più modestamente A Tragedy in Steel, concept del 2002 dei Rebellion). Queste suite, insieme a un classico come “And then there was silence” dei Blind Guardian, sono ritratti in musica di capolavori letterari assoluti e contribuiscono a un’intelligente interartisticità che vuole attualizzare le opere alla base del canone occidentale. Tutto inizia con un tremolio oscuro di basso, seguono un synth di cornamuse e intrecci vocali femminili, a rappresentare la profezia delle streghe. Come ospiti, infatti, troviamo quattro cantanti: Andry Lagiou, Noa Gruman, Phyllis Rutter e la mitica Veronica Freeman dei Benedictum. All’inizio dell’ottavo minuto è invece Michael Pinnella a regalare emozioni in un break fatato di pianoforte, ma non siamo nemmeno al giro di boa. C’è addirittura spazio per un momento blues e stupisce come LePond riesca a raccordare le undici parti della suite grazie alle 4-corde come strumento leitmotivico. Il pezzo cala un po’ nei minuti conclusivi, ma le terzine di un Romeo chirurgico in fase ritmica, e lo slap di LePond, chiudo in bellezza la monster track, che ripropone infine il pipe synth iniziale.

In definitiva un album che bissa la qualità discreta del debutto nel 2014, ma con la forza aggiuntiva di una title-track “epica”. Si poteva far meglio in fase di produzione ed è vero, chi può negarlo?, la voce di Alan Tecchio alla lunga risulta prevedibile, però Pawn and Prophecy resta un disco che ha qualcosa da dire, non una semplice accozzaglia di brani speed metal. Lo consigliamo, inoltre, a un pubblico trasversale, dai fan del power e dell’heavy, a quelli del progressive. L’anima di LePond è sfaccettata, la sua proposta musicale vive di nostalgia ma anche di felici connubi musicali. Ascoltare per credere!

Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)

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