Recensione: Penthagon

Di Orso Comellini - 1 Novembre 2012 - 0:00
Penthagon
Band: Penthagon
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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72

Finalisti del Wacken Metal Battle 2010, contest che li ha portati a esibirsi sul WET Stage del celebre festival teutonico avendo all’attivo solo un demo di tre tracce, i bresciani Penthagon giungono al debutto ufficiale sulla lunga distanza con l’album omonimo, freschi di contratto per l’attenta Punishment 18 Records.  

Il quintetto lombardo si forma nel 2008 per mano di musicisti tutt’altro che alle prime armi e provenienti da differenti realtà del Bel Paese, come Methedras, Cadaveric Crematorium ed Eviscerate, con l’intento di creare un progetto solido che si discostasse dalle passate esperienze, nel quale, le singole individualità dei cinque musicisti, fossero asservite alle esigenze del gruppo (da qui il nome Penthagon). Musicalmente il combo porta in seno il gusto e l’attitudine dei singoli componenti, i quali, assieme, hanno sviluppato un heavy/thrash piuttosto originale, anche se tra le pieghe del disco si scorgono ancora le rispettive influenze. La loro musica, infatti, può essere descritta come una rivisitazione del thrash tecnico di gruppi come gli Annihilator, che s’incontra con le poderose melodie heavy di Jørn Lande e dei suoi Ark, per esempio. Come non citare poi il thrash moderno dei Nevermore, che più di altri sembra aver contribuito a forgiare il loro sound? Dal combo di Dane e Loomis, poi, sembrano aver ripreso quella vena prog metal che, talvolta, porta loro a esplorare territori affini a quelli dei maestri del genere come i Dream Theater. Insomma, ce n’è un po’ per tutti gusti e i Nostri sono altresì abili a mantenersi in equilibrio tra modernità e tradizione, così da non precludersi ogni possibile evoluzione futura.  

Le nove tracce che compongono l’album sono caratterizzate da una costante ricerca del giusto compromesso tra cattiveria e ricercatezza, impatto e armonia. Composizioni piuttosto articolate (gran parte sfondano abbondantemente il muro dei cinque minuti) che permettono ai Penthagon di dimostrare tutta la propria esperienza e la compattezza del gruppo, nonché le valide capacità dei singoli. Davvero notevole la mole di riff stoppati o aperti, cambi di tempo, armonizzazioni e aperture melodiche messi in campo dai cinque provenienti dalla “Leonessa d’Italia”. Spesso all’interno della stessa canzone si passa in maniera fluida da serrate partiture in palm muting ad armonie eleganti o accattivanti. Se buona parte del merito di tale duttilità è da attribuire alla dinamicità della sezione ritmica e al gran lavoro delle due asce (molto incisive anche in fase solista), bisogna però mettere l’accento anche sulla prova di Marco Spagnuolo, singer dotato di buona espressività e versatilità.  

Tra gli highlights dell’album merita menzione la dirompente opener “Digital Trap Box”: brano che spinge su frequenze molto vicine al death melodico degli At The Gates e mette subito in mostra le doti di Parlatore alla batteria, il quale può contare su un ampio ventaglio di soluzioni, scaricando sulle pelli dosi massicce di adrenalina. Non da meno il contributo di Monteverde e Venzi, che impreziosiscono la traccia con un’ottima serie di soli veloci e limpidi, prima della sezione conclusiva rallentata dall’andamento sinuoso. Valida poi la sognante semi-ballad progressiva “Asleep Or Awake” con uno Stefano Salvatico sugli scudi e la debordante e thrashy “Labyrinth Of Fear”.   

Per chiudere il disco, infine, è stata scelta una cover particolare che denota molto coraggio (per l’estrema facilità di fare una figuraccia, senza tanti giri di parole) e cioè il classico dei Queen, “Innuendo”. Oltre a una certa intraprendenza, però, i Nostri dimostrano in questo caso tutta la loro personalità, rileggendola in chiave molto più heavy e riarrangiando completamente l’indimenticabile sezione centrale, senza perdere per strada mai del tutto la tensione e il pathos inarrivabile della versione originale.  

In conclusione, il valido debutto dei Penthagon presenta una band dalle grandi potenzialità, dalla quale ci possiamo aspettare un futuro roseo, ma sarà necessaria, in primo luogo, una maggiore maturità compositiva che porti a una più netta diversificazione delle tracce, cercando magari di sfruttare meno spesso la soluzione del ritornello melodico/accattivante che tende a imprimersi subito in testa, ma che a lungo andare tende un po’ a stancare. In secondo luogo, date le loro ottime capacità, dovranno provare a osare con coraggio un pizzico in più, con il cuore o con la testa.   

Orso “Orso80” Comellini

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Tracce:

1. Digital Trap Box 5:07

2. All I Guess 5:17

3. In The Name Of Peace 7:00

4. Ash In My Hands 6:36

5. Asleep Or Awake 5:40

6. No Way Out 4:15

7. Labyrinth Of Fear 4:32

8. Shine Like The Sun 5:03

9. Innuendo 5:58

Durata 50 min. ca.  

Formazione:

Marco Spagnuolo – Voce

Mario Monteverde – Chitarra

Alessandro “Cau” Venzi – Chitarra

Stefano “Selva” Selvatico – Basso

Francesco “Parla” Parlatore – Batteria

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