Recensione: Phantom Lord

Di Stefano Ricetti - 6 Novembre 2018 - 12:30
Phantom Lord
Band: Phantom Lord
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2018
Nazione:
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68

Dietro al progetto Phantom Lord, da sempre, aleggia il mistero. Siamo nella prima metà degli anni Ottanta, uno dei periodi più prolifici per l’heavy metal in tutto il mondo, per via della qualità delle uscite, l’entusiasmo diffuso, il seguito, ma soprattutto le vendite al botteghino e nei negozi.

Una label pensa quindi di monetizzare il momento, in un certo qual modo, e commissiona a uno dei chitarristi più in vista dell’HM americano tre album, da realizzare con un budget ridotto e tempi risicati. L’etichetta è la Dutch East Records e l’uomo della sei corde risponde al nome di Jack Starr, guitar hero che in quel periodo non se la passa poi così bene con i “suoi” Virgin Steele, visto che sull’album Noble Savage, del 1985, verrà rimpiazzato da Edward Pursino, con il beneplacito di Sua Maestà David DeFeis, per usare un eufemismo. Già nel 1984 Jack marcò la sua distanza da David per il tramite di Out Of The Darkness, uno scintillante album di heavy metal che, oltre all’ormai ex Virgin Steele alla chitarra schierava nientepopodimeno che il grande Rhett Forrester dei Riot alla voce, mentre la sezione ritmica era garantita dall’accoppiata solidissima Gary Bordonaro (Basso)/Carl Canedy (Batteria).

Evidentemente a Starr in quel frangente la proposta formulata dalla Dutch East Records non faceva proprio schifo, nonostante la leggenda voglia che il budget sia di soli 200 Dollari e il tempo di permanenza in studio per incidere i brani di ben (?) dodici ore. Jack raduna al proprio capezzale un paio di veterani della guerra dei watt: Joe Hasselvander (Batteria), Ned Meloni (Basso), John Leone (Vox). Et voilà, ecco pronte, fresche-fresche, nove canzoni di heavy metal classico veloce e massiccio in linea con lo speed animale degli Exciter impreziosite dalla chitarra-ovunque di Starr e pronte per essere licenziate sul mercato, a costituire il secondo (Devil Childe sarà il primo) degli album richiesti dalla Dutch East.

Non è dato sapere il motivo ma al tempo il progetto Phantom Lord vedeva coinvolti i vari musicisti sotto pseudonimo, davvero degno delle migliori Sturmtruppen: Gunther Wassel (Starr), Simon Berger (Leone), Klaus Schwartzen (Meloni) e Wolfgang Messerrine Gundermann II (Hasselvander).   

Tornando a noi, al 2018, in ossequio alla riscoperta del polveroso passato della musica dura, la Minotauro Records di Pavia ha fatto uscire Phantom Lord sotto forma di vinile a 33 giri, mantenendo inalterato il mistero che da sempre accompagna quel periodo di Jack Starr. Nelle note del retrocopertina, infatti, oltre a un risicato paio di citazioni tecniche, campeggia la sibillina scritta in latino:

Ite nune fortes ubi celsa magni ducit exempli via. Cur inertes terga nudatis? Superata tellus sidera donat       

Musicalmente Phantom Lord non fa gridare al miracolo: i nove pezzi, registrati per i motivi di cui sopra in fretta e furia, a livello embrionale denotano la classe di fondo propria dei due autori, ovvero l’accoppiata Starr/Hasselvander e scorrono amabilmente sino al termine, producendo notevoli scossoni, di tanto in tanto. Certo è che se fossero stati meglio sviluppati e poi registrati con tutti i crismi e i tempi necessari il risultato alle casse sarebbe stato ben diverso, ma è così che va la vita, ops… andava la vita dalle parti dei  sobborghi di NY nel 1984. Al netto di tutto questo, con tutti i limiti elencati sopra, un album da (ri)scoprire, senza dubbio.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti         

 

 

 

 

 

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