Recensione: Primitive

Di Daniele D'Adamo - 14 Novembre 2018 - 16:21
Primitive
Band: Atlas
Etichetta:
Genere: Metalcore 
Anno: 2018
Nazione:
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76

Ed è ora del debut-album anche per i finlandesi Atlas, autori, sin’ora, soltanto di un EP uscito nel 2016 (“Northern Lights”), cioè un anno dopo la loro nascita in quel di Nokia.

Il nome del primogenito è “Primitive” che, quasi a mò di antitesi, svela un’Opera Prima tutt’altro che rozza e involuta. Anzi, l’esatto contrario. Gli Atlas, difatti, sono capaci di sfoderare un metalcore più che attuale e in linea coi tempi, ricco di carattere e di personalità, eseguito alla perfezione. Certamente non ci si deve sorprendere, poiché l’ambito di cui trattasi è quello del metal scandivano, ove l’aggettivo approssimazione non esiste, nei vari vocabolari nazionali. Tuttavia non si tratta solo di DNA ma, anche, di solida preparazione di base, gran retroterra culturale, dedizione assoluta alla causa.

Altrimenti non si spiegherebbe per quale motivo le tracce di “Primitive” suonino scevre da imperfezioni, da qualsiasi punto di vista le si osservi. E non si avrebbe conto, nemmeno, di un sound che fa della profondità emotiva il proprio cavallo di battaglia. Anche in questo caso centrando una delle caratteristiche peculiari del metalcore o meglio una delle emozioni che meglio scatena: la malinconia. Cioè, quel sottile velo che obnubila la corretta (o scorretta?) visione del mondo circostante. Della realtà. La quale, come osservata attraverso a delle lenti, viene qui restituita nella sua parte più intimista. Chissà cosa c’è dietro ai ghiacciai delle nevi eterne, chissà cosa c’è nel mezzo di foreste sterminate, chissà cosa c’è nei tranquilli laghi della terra natìa, la Finlandia. Sono domande che non hanno risposta, se non frugando nell’invisibile anima della Natura, che possiede tutto e tutti. Anima che, grazie alla ridetta malinconia, si riesce a intravedere, a percepire, a respirare, nel mentre si ascolta “Primitive”.

Tutto quanto sopra non deve, però, trarre in inganno: il metalcore dei Nostri è comunque possente, a tratti rabbioso, spesso scandito dalla potenza dei breakdown. Patrik Nuorteva, con la sua ugola scabra, raschia le linee vocali trasmettendo un senso di disperazione che, chissà, è quello che prova un Uomo nella sua infinita miseria messo di fronte all’immensità dell’Universo. Le chitarre di Tuomas Kurikka e Aleksi Viinikka sono abili sia a erigere glaciali muraglioni di suono, sia a ornarli con fini arabeschi solistici. Come da norma la sezione ritmica, impegnata a pestare duro e a rallentare indefinitamente in occasione dei micidiali stop’n’go.

Ma è l’insieme dei cinque musicisti che, come un unico corpo, restituisce un sound compatto, coeso, che non presenta alcuna oscillazione rispetto a un ipotetico livello mediano. Le song scorrono via, sciolte, fresche e piacevoli da recepire a occhi chiusi. Manca forse il colpo da K.O., l’hit che possa sfondare l’underground, ma forse non è uno degli obiettivi della formazione nordeuropea. Impegnata, piuttosto, ad adottare un modus compositivo atto a generare brani tutti dall’alto livello qualitativo. Senza voli ma senza cadute. Anche se il ritornello dell’opener-track ‘Skinwalker’, arricchita da una voce femminile e dal morbido suono delle tastiere, è di quelli da strappare le budella, di quelli da scalare per sognare.

Alla fine dei conti gli Atlas non inventano nulla, in termini stilistici, se non di essere una degli ensemble che praticano modern metalcore davvero… moderno. Nondimeno, la loro grande passione e la loro grande preparazione tecnica/artistico sono elementi che arricchiscono tutti i pezzi di “Primitive”, per un album pregevole che non può mancare nella collezione degli amanti del genere.

Daniele “dani66” D’Adamo

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