Recensione: Pronounced Leh-Nerd Skin-Nerd

Di Mauro Gelsomini - 17 Maggio 2003 - 0:00
Pronounced Leh-Nerd Skin-Nerd
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Anno: 1973
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96

E finalmente arriviamo a parlare sulle nostre pagine anche della band capostipite (e di punta, per lungo tempo) del cosidetto Southern Rock, padre putativo di un certo AOR.
In realtà il sound della band floridiana è in questo debut piuttosto grezzo e minimale, ma a riempire ogni spazio ci pensa la dovizia negli arrangiamenti dei suoi leader, il cantante Ronnie Van Zandt (r.i.p.) e gli straordinari axemen Gary Rossington e Allen Collins (r.i.p.), capaci di mescolare boogie e hard rock in guisa tale che il loro sound risulta fresco anche a trent’anni di distanza.
Per essere un debut suona davvero troppo perfetto, ed in effetti i sette americani decidono di uscire sul mercato con un’autoproduzione solo dopo una lunga gavetta fatta di concerti, e quindi si presentano all’appuntamento con l’incisione come una band espertissima.
Oserei quasi parlare di prog-rock, piu’ che di vero e proprio Southern Rock: se è vero che grazie al loro disco più famoso, “Second Helping” (chi non conosce Sweet Home Alabama?), i Lynyrd sono ricordati per questo genere, “Pronounced…” è piuttosto un calderone di sperimentazioni sonore e compositive: dall’hard rock al blues, dal bluegras al folk, dal country al gospel, c’è davvero tutto, compresi i cambi d’atmosfera tra pezzo e pezzo. Se le liriche di “Simple Man” sono di grand’effetto, non si fatica a passare alle giocose “Gimme Three Steps” e “Poison Whiskey”, nonché alla ballatona rock “Tuesdays Gone”. Colonna portante del disco (e del L-S style) non può che essere il three-guitar attack, forse il primo della storia del rock, tracotante fin dall’inizio, nel boogie di “I Ain’t The One”, che vanta tra l’altro un solo blues eccezionale. “Tuesday Gone”, come già accennato, è lunga e appassionata, resa un’highlight principalmente dal suadente mellotron di fondo, in continuo divenire, tramite fade-in e fade-out, con i soli delle chitarre. Rompe gli indugi, invece, il boogie rock diretto e saltellante di “Gimmie Three Steps”, classicissima saloon-hit settantiana dal refrain irresistibile.
A questo punto si rallenta un po’, i toni si fanno un po’ piu’ sopiti e così “Simple Man”, nonostante il suo chorus molto hard e il buon solo, non risulta accattivante come le precedenti, e lascia anzi un uggioso senso di vuoto… Ma forse è proprio grazie ad essa che il piano honky-tonk di “Things Goin’ On” ci getta in un rock’n’roll rude e forsennato, che non lascia davvero scampo. “Mississippi Kid” è un pezzo country, con voci e mandolino in evidenza, per il secondo calo di tensione del disco, prima che i ritmi vengano risollevati ancora da “Poison Whisky” e il suo rock’n’blues, del quale sono da apprezzare particolarmente gli arrangiamenti (grandiosi i fill e i solos di chitarra, dolcissimo il traboccante solo di pianoforte).
Com’è giusto che sia, il piatto forte arriva alla fine. Divenuta ormai un classico del southern rock, la lunga “Free Bird” vuole essere un epico tributo allo scomparso Duane Allman. Una melodia vocale memorabile insieme ad una triplice linea di chitarra fanno sognare, prima che la canzone diventi una feroce jam chitarristica, un fiume in piena di note e di ritmi.
A chi non conosce i Lynyrd Skynyrd, ma ama la musica rock, non posso che consigliare quest’album per la vostra collezione: se dopo averlo ascoltato avrete ancora fiato, probabilmente dovrete cambiare genere…

Ttracklist:

  1.   I Ain’t the One
  2.   Tuesday’s Gone
  3.   Gimme Three Steps
  4.   Simple Man
  5.   Things Goin’ On
  6.   Mississippi Kid
  7.   Poison Whiskey
  8.   Free Bird

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