Recensione: R.I.S.E.

Di Eric Nicodemo - 29 Dicembre 2014 - 8:00
R.I.S.E.
Band: Lawless
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2014
Nazione:
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78

 

Il primo contatto con i Lawless, “Rock Savage”, è stata l’occasione ideale per l’ennesimo revival a base di hard’n’heavy spigoloso ed energetico, un vero toccasana per il rock inglese, da lungo tempo in uno stato di grave degenza (se si esclude inespugnabili baluardi quali i Magnum). E così, acquistata confidenza con il nuovo progetto, la band degli ex-Demon Neil Ogden e Paul Hume ripropone il precedente menu con questo R.I.S.E.

Affidandosi, dunque, al detto “squadra che vince non si cambia”, le coordinate del nuovo lavoro decidono di tralasciare ogni forma di modernismo per dare sfogo alle pulsioni metalliche di 1914 (Ghosts Of No Man’s Land), song carica di quella giusta dose di vecchio entusiasmo ed orgoglio uk che traspare da una manciata di riff martellanti e dallo slancio corale.

Il rombo dell’heavy non si placa in “Pain”, che spinge sull’acceleratore a suon di ringhiose bordate priestiane messe in luce dalla produzione nitida quanto basta per risaltare basso e batteria.

Rise” preferisce un assalto più meditato, per poi scagliarsi sul ritornello da arena, che, senza strafare, intrattiene grazie al coro catchy.

Menzione speciale per la progressione melodica potente ed ispirata di “Twisted And Burned”, anche grazie al tocco epico e drammatico di Howie.

Parlando della prestazione vocale, l’ugola di Hume dimostra grandi doti, avvalorate dall’altisonante lirismo di “Song For A Friend”.

Dismesse le vesti liriche di “Song For A Friend”, l’anima più hard rock si impone in “Kiss My Glass”, che tralascia l’impeto heavy di “Twisted And Burned” in favore di un robusto rock “di serie”.

Di contro, “Dead Man Walking” preferisce atmosfere più fosche ed oscure (condensate in un rifferema trascinato), sempre con quel tocco di epicità e melodia che contraddistingue il lavoro solista, non sempre imprigionato nello schema “riff-refrain-assolo”.

Si ritorna ad un set evocativo e visioni mistiche si fanno spazio nell’intro di “Heavens Raining”, dove percepiamo la volontà di variare la formula e creare una canzone ricca di tensione, su testi e scorci d’atmosfera su uno sfondo massiccio (il ritmo solido dell’accompagnamento). Spunti apprezzabili che fruttano un’aggiunta senz’altro interessante nella proposta generale.

Dopo un’ottima prima facciata e qualche episodio “sui generis”, il platter si eleva sulle alte note di “How Long”, modellata ancora sulle linee vocali del singer, mentre “Diamond In The Rough” riscopre l’eredità di Ronnie J. Dio ed importa un refrain di derivazione class metal.

Quasi a suggello della fine, “Is This The End Of The World” rilancia i Lawless, che si sentono a loro agio al cospetto di scenari avventurosi e tragici, quasi a dimostrare il potere visionario della musica, tra un trillo di Howie ed un acuto disperato di Hume.

R.I.S.E. è, dunque, un album che suona come una promessa per l’hard’n’heavy britannico, incitandolo a risollevarsi con la forza di un sound dotato dell’impeto heavy ed esaltato dall’istinto melodico. Ad essere pignoli, le idee subiscono un arresto al centro del platter, mancando di uno zenit compositivo vero e proprio: il rock tangenziale di “Kiss My Glass” conferma questo stallo, costringendo i Lawless a ritornare sui propri passi e a rifugiarsi nelle più riuscite “How Long” e “Is This The End Of The World”. Per il resto, una prova grintosa, degna di attenzione, capace di strappare consensi e che dimostra come il rock può ancora graffiare nella vecchia Inghilterra.

Eric Nicodemo

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