Recensione: Remedy Lane re:visited (re:mixed & re:lived)

Di Lorenzo Maresca - 22 Agosto 2016 - 14:00
Remedy Lane re:visited (re:mixed & re:lived)
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2016
Nazione:
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83

Se c’è una cosa che in molti hanno lamentato dei Pain of Salvation, specialmente dei primi dischi, è la qualità della produzione. Nella prima parte della sua carriera la band svedese ha pubblicato ottimi lavori troppo spesso penalizzati da una produzione piatta e grigia, che tuttavia non ha impedito a pubblico e critica di riconoscere il valore di questi album. Remedy Lane soffriva dello stesso problema: il capolavoro dei Pain of Salvation, per quanto potesse essere emozionante, lasciava un po’ di amaro in bocca per dei suoni che avrebbero potuto valorizzarlo ancora di più, soprattutto per quel che riguarda le chitarre e la batteria. Ecco dunque che, quattordici anni dopo, arriva una nuova versione voluta da Daniel Gildenlow per dare una rispolverata al suo album più famoso. Per Remedy Lane Re:visited (Re:mixed & Re:lived) il frontman ha voluto affidarsi a Jens Bogren, produttore e ingegnere del suono che ha già collaborato con nomi importanti nel progressive metal, tra i quali Opeth, Symphony X, James Labrie, Haken, Devin Townsend e Katatonia.

La prima cosa che si nota è che in questo remix i diversi strumenti sono più distinguibili: la voce in particolare risulta limpida e in risalto, ma anche il basso sembra molto più presente. Le chitarre sono più calde e ricche sui distorti, mentre nei passaggi in clean si è cercato di renderle più dolci e meno secche. Anche un effetto stereo e un panorama sonoro leggermente accentuati contribuiscono a migliorare il risultato finale. Se l’intento era quello di rendere il disco un po’ più moderno si può dire che Bogren ci sia riuscito, ma questo non significa che sia stato stravolto, la prima versione resta sempre il punto di riferimento. Come se non bastasse abbiamo anche un secondo CD con l’intero album suonato dal vivo al ProgPower USA Festival nel 2014. Colpisce qui non solo il livello della performance, su cui eravamo fiduciosi, ma soprattutto la qualità dei suoni, ottima per un disco live. È interessante ascoltare Remedy Lane suonato da una formazione nella quale ormai quattro membri su cinque sono cambiati rispetto a quella che l’aveva registrato. Il nuovo chitarrista Ragnar Zolberg fa un ottimo lavoro anche dietro al microfono e trova addirittura i suoi momenti da protagonista, mostrando una voce niente male (ascoltatelo sul ritornello di “This Heart Of Mine”). Inutile poi dilungarsi sulle doti vocali e sull’interpretazione di Daniel Gildenlow, sempre eccezionali.

Questa volta non c’è il fattore novità, non abbiamo sentito nuova musica, ma si tratta comunque di un lavoro più che apprezzabile, sia nel remix che nel live. In definitiva questa nuova versione può coesistere senza problemi accanto a quella vecchia: offre una qualità migliore senza oscurare la prima, che non va certo dimenticata. In effetti, volendo essere un tantino pignoli, chi non ha mai ascoltato Remedy Lane potrebbe sentire prima il mix originale, tenendo conto che esistono tutti e due.
E per concludere non ci si può trattenere dal citare l’effetto nostalgia nel riascoltare l’album. Risentirlo dopo un po’ di tempo è sempre un piacere e negli anni non ha perso niente del suo fascino: già a partire dall’introduzione, “Of Two Beginnings”, tornano i brividi, per non parlare di brani come “A Trace Of Blood” o la conclusiva “Beyond The Pale”.  Un disco profondo e intenso, dove tutto funziona perfettamente. Negli ultimi anni i Pain of Salvation hanno dato una svolta radicale al loro sound, e il tentativo di rinnovarsi è lodevole ma, non si può negare, rimarrà sempre la nostalgia per lavori così creativi e ispirati, che hanno contribuito a cambiare il volto del progressive metal.

 

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