Recensione: Return to Live

Di Luca Montini - 11 Febbraio 2018 - 13:00
Return to Live
Band: Labyrinth
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2018
Nazione:
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80

C’è aria di festa e celebrazioni, il 30 ottobre 2016, al Live Music Club di Trezzo sull’Adda, in occasione del Frontiers Metal Fest: i toscani Labyrinth, pionieri del power-prog metal italiano, si presentano sul palco forti di una formazione inattaccabile come l’odierna, composta dai fondatori Andrea Cantarelli ed Olaf Thorsen alle chitarre, dal ritorno in grande stile dopo un periodo di lonrananza di Roberto Tiranti, e dai neoentrati Oleg Smirnoff, John Macaluso e Nik Mazzuccon; lineup che uscirà l’anno successivo con l’ottimo Architecture of a God (2017). Dopo aver testato la setlist per un paio di date in Messico, per la prima volta in Italia i Labyrinth propongono l’intero “Return to Heaven Denied” (1998), considerato da gran parte di critica e pubblico come l’ancora ineguagliato apice compositivo della band. “Return to Live”, prodotto da Alessandro Del Vecchio, rappresenta dunque la celebrazione di un duplice ventennale per i Labyrinth: registrato a vent’anni dal disco d’esordio, quel “No limits” del lontano 1996, ed uscito a vent’anni di distanza dall’album che intende riproporre in sede live, in questo 2018, in versione CD/DVD e Blu-ray.
 

 “Per noi è una grandissima emozione essere qui questa sera, vedere un sacco di amici: qui, a celebrare un disco uscito quasi 20 anni fa, “Return to Heaven Denied”… è veramente un grande orgoglio!.”

Le parole del buon Roberto Tiranti al microfono sarebbero già sufficienti a descrivere il lavoro nella sua essenza: un live album sentito ed emozionante per tutti i fan storici della band, ma anche per i “nuovi amici” che coglieranno l’occasione per incuriosirsi e magari approfondire la storia di uno tra i dischi più importanti del metal tricolore. 
Un brivido corre nell’ascoltatore alle prime note di “Moonlight”, così come in brani ormai divenuti leggenda come “Lady Lost in Time”, “Heaven Denied”, “Thunder” o “Die for Freedom”. Unico, simpatico intruso in setlist, la conclusiva “In The Shade”, a celebrare l’album di esordio quando ancora era Fabio Lione a presidiare il microfono.
Produzione molto ripulita, forse un po’ troppo artefatta con le chitarre ritmiche soffocate in favore delle tastiere di Smirnoff, ma nel complesso a discapito del sound ‘rude’ di una performance live si guadagna in omogeneità e pulizia. Ben bilanciate le parti in cui il pubblico entra in scena, tra un brano e l’altro e propenso a cantare in coro i refrain come in “Lady Lost in Time”. Sempre ad altissimi livelli la performance di una band composta da professionisti indiscussi, con un Roberto Tiranti molto propenso a sparare i suoi acuti altissimi da sirena antiaerea; affiatatissimi i ragazzi sul palco, a riprova dello stato di grazia dell’odierna lineup.

Return to Live” non è un punto di arrivo: è un punto di partenza, alla riscoperta di questa band ma anche alla riscoperta di un’epoca. La celebrazione di un grande disco ormai stampato sui libri di storia del metal tricolore, dedicato ai (ed imprescindibile per i) fan della prima ora ma anche rivolto a quelle giovani generazioni che a fine anni ’90 non vissero un momento straordinario che vide il prog-power metal italiano come apripista di un intero movimento sulla scena musicale internazionale.

Luca “Montsteen” Montini
 

 

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