Recensione: Scarsick

Di Nicola Furlan - 19 Gennaio 2007 - 0:00
Scarsick
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Anno: 2007
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75

Camaleontici. Gildenlow e compagni, nel bene o nel male, riescono sempre a far cambiare pelle e forma alle loro creature. Man mano che il tempo avanza sembra che i fan perdano tempo a preventivare le loro aspettative, perché puntualmente vengono smentite. Non sono passati nemmeno 5 anni da Remedy Lane (2002), ultimo full-length sostanzialmente ordinario della band. Dopo è arrivato Be. Dopo la dipartita di Kristoffer Gildenlow. Cosa aspettarsi ancora era davvero difficile a dirsi, tanto più che lo stesso concept sull’esistenza dell’essere assoluto è stato successivamente rivisitato in chiave live definendo un approfondimento ricercato da tanti dopo l’interdizione del primo ascolto da full-length.

Scarsick, sesta fatica della formazione svedese, è un album che contiene ed offre tanto in termini di particolarità artistica, considerato il valore tecnico dei componenti. Ottimo il livello di cura dei particolari. Cura che aveva dato quella mistica profondità strumentale e concettuale anche al precedente album.
Questo disco concentra in sé idee libere da schemi prefissati, sebbene anch’esse riconducibili ai concetti di prog più straordinari del recente passato. Un concept tutto da contestualizzare in funzione di quello che la musica dà, canzone dopo canzone, perché di per sé le lyrics esprimenti l’invettiva contro la vita contemporanea non sono sufficienti per intuire alcuno spunto. Ogni ascolto definisce una chiave interpretativa differente a seconda dello stato d’animo con cui lo si accompagna, grazie al songwriting adottato, assolutamente poli-propositivo, sprezzante, ma idealizzabile.

Scarsick è un disco che scava, non senza danneggiarli, i meandri strutturali del prog metal, giocando con le strutture variopinte che riesce a disegnare, adattando all’espressività delle proposte una moltitudine di suoni disturbati e disturbanti, ma che nel complesso creano comunque una atmosfera di easy listening. Le lyrics impregnate di approfondimenti psico-sociologici si intersecano bene all’estroverso modus componendi adottato. Sta qui la forza dell’album: il far passare per ascoltabile una costruzione compositiva di grande rispetto esecutivo e tecnico.

Con la solita raccomandazione sul relativismo associativo ad un genere piuttosto che ad un altro inoltriamoci nella critica della tracklist. Apre la titletrack, in pieno stile post-thrash, anticonformista e beffardo, caricato di suoni elettronici in una mescolanza di riffing arcigni e melo-chorus arabeggianti. Risultato? Grande trama di comparti ritmici e dosate cariche di groove quasi ossessivo a mò di primo schiaffo, che risveglia decisamente colui il quale aveva sognato una possibile mescolanza tra il “Be sound” e qualcosa di più vintage della discografia remota. “Spitfall” aggancia la complessità compositiva che aveva caratterizzato gli ultimi lavori, oscillando spesso tra il melodico del pre-chorus e le ritmiche più dosate e tintinnanti, per poi esplodere nel caos. Una canzone varia, ma nel contempo assai definibile soprattutto per chi ha a cuore il passato della band. Attimo di pausa country-oriented per l’intro di “Cribcaged”, ballad di grande intensità o, se preferite, ninna nanna che adagia la sua coperta sonora sui singhiozzanti sorrisi di una piccola creatura innocente. Gli incastri strumentali sono di pregevolissima fattura e dipingono anche qui quella forza che di fatto costituisce la consistenza del platter. E proprio quando si crede di cominciare a comprendere in che direzione si stia orientando il pensiero costruttivo del tutto, ecco saltare fuori dalle fresche ferite aperte “America” e “Disco Queen”, che creano di certo interdizione, se non disorientamento. La prima, giocando su refrain acustici da musical, è un innegabile rimando all’apparente e patetica felicità in terra promessa, mentre la seconda cerca di proiettare attraverso le interessanti e classiche ritmiche disco di inizio 80’s una visione su tematiche infime come l’abuso minorile. Una canzone che parte ansiosa e pian piano si adatta a forme giocose e cariche di stridula invettiva.

L’altra ballad è “Kingdom Of Loss”, che appare dolcemente costruita, delicata negli arrangiamenti, sognante e tiepida; ha la forza di abbracciare chi ascolta e trasportare la memoria anche a qualche amabile venatura prog più datata. “Mrs. Modern Mother Mary” ed “Idiocracy” appaiono decisamente più consone alla definizione di prog classico sfumando il trend dei passaggi appena sentiti verso lidi più metallici e cadenzati da ritmiche modulate. In particolare la seconda si attesta decisamente ad uno dei livelli qualitativi di punta dell’intero album. Articolate e darkeggianti ragnatele compositive annebbiano le atmosfere così giocose fin qui proposte per poi svanire pian piano, lasciando a tratti fluire studiati agguati di distorsione, striduli all’incedere. “Flame To The Moth” è l’antitesi di se stessa: l’oscillazione di cantati “screaming” e di arabeggianti “funky wha wha” in un ricercato alternarsi di stati d’animo non riesce in nessuna circostanza a determinare un equilibrio all’ascolto e plasma, di fatto, un movimento sonoro dalle mille spigolature e dalle mille concavità.
L’atmosferica, fosca ed intima “Enter Rain” sigilla lentamente le porte a questa visione del mondo, e lo fa con indeterminata concezione della musica perché non rappresenta né un punto di chiusura, né un punto di partenza per l’album appena ascoltato, ma, sfumando, lascia chi ascolta in una sorta di indefinitezza.

È il disco più controverso che abbiano mai creato: oscuro, ombrato, ma apparentemente allegro. Un disco che gioca una partita a carte scoperte senza tralasciare quei valori tecnici che appartengono ai grandi musicisti. Una doccia di tiepide e corrosive gocce musicali investite di freddi sospiri del reale che schiaffeggiano e feriscono senza farsi vedere. Una lotta aperta verso tutto ciò che è mascherato e che vuole nascondere ogni cosa di sè. Ancora una volta arrogantemente stupefacenti.

– nik76 –

Tracklist:
01 Scarsick
02 Spitfall
03 Cribcaged
04 America
05 Disco Queen
06 Kingdom Of Loss
07 Mrs. Modern Mother Mary
08 Idiocracy
09 Flame To The Moth
10 Enter Rain

Line up:
Daniel Gildenlöw – Lead vocals, guitar, bass guitar
Johan Hallgren – Guitar, backing vocals
Fredrik Hermansson – Keyboards
Johan Langell – Drums, backing vocals

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