Recensione: Seraphical Euphony

Di Daniele D'Adamo - 16 Marzo 2016 - 18:47
Seraphical Euphony
Band: Hyperion
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2016
Nazione:
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79

Ancora una volta, il metal dimostra di saper rinascere dalle proprie ceneri.

Più che il metal, a risorgere come l’Araba Fenice è il symphonic black metal.

La straordinaria creatura nata con i leggendari Emperor agli albori degli anni ’90, dopo una parabola che ha avuto il proprio culmine una decina di anni fa con i Dimmu Borgir, sembrava ormai destinata all’oblio, superata da altri concorrenti/cugini più moderni, come per esempio il post-black.

Invece, di nuovo dalle terre nord-boreali, piombano come falchi sulla preda gli svedesi Hyperion con il loro debut-album “Seraphical Euphony”. Una band di nuova generazione, anche se non nuovissima, nata nel 2007, che sin’ora ha prodotto ben poco: un live album (“På Kylengalan”, 2010), un demo (“Blood Of The Ancients”, 2010) e un single (“Novus Ordo Seclorum”, 2015), peraltro compreso in “Seraphical Euphony” stesso.

Partendo proprio da “Novus Ordo Seclorum”, ma non tralasciando lo stupendo, arioso e maestoso intro “Remnants Of The Fallen”, si ha immediatamente la sensazione di avere a che fare con qualcosa di speciale. Non con lo stile, perfettamente su misura per il genere e quindi, di conseguenza, non particolarmente originale. Quanto per il songwriting, capace di travolgere l’anima con armonizzazioni esplosive, monumentali, potenti. Il break centrale dell’appena menzionata song è, difatti, spaventosamente accattivante, mirabilmente travolgente: accelerazioni continue oltre la sfera del suono e dei blast-beats, esplosioni, spingono irrimediabilmente verso la trance da hyper-speed. Avvolta, però, da un sacerdotale mantello di arcana melodia, comprendente – anche – lo srotolamento di commoventi soli di chitarra. Senza dubbio una delle migliori canzoni mai scritte in ambito symphonic, in grado di reggere il confronto a 360° con quelle più Grandi.

Gli Hyperion, però, non si adagiano certo sugli allori, ed ecco che allora una dopo l’altra giungono in sequenza brani dall’altissimo valore assoluto. Non è certo la tecnica, a mancare a Erik Molnar e compagni. Anzi, la riproduzione di un sound così pieno, possente e massiccio avviene con pulizia e precisione. Operazione per nulla facile. 

Quando però si trovano sul percorso muraglioni d’armonia come il capolavoro “Moral Evasion” si comprende perché, se sorretto dall’opportuno talento compositivo, un genere come il symphonic black metal può regalare soddisfazioni enormi, alla mente di chi ascolta: il suo incipit, probabilmente, è una delle più belle cose mai scritte in materia! Roba, davvero, da tremendi brividi sulla pelle. Roba da far drizzare i peli rammentando arcaici pericoli imminenti. Quando, poi, Anders Peterson alza il ritmo sulla soglia dei blast-beats, sembra che si aprano le porte di un’altra dimensione: quella dell’allucinazione dei sensi. Ove, cioè, si diventa tutt’uno con le note, con le battute, con il disperato screaming di Harry Lauraéus. 

Nondimeno sono interessantissimi gli intrecci acustici, come all’inizio di “Primal Cosmic Ascendancy” ove, e non poteva esser diversamente, c’è il richiamo al medioevo e alla sua cupa atmosfera. Spazzata successivamente via dall’hyper-blasting del furioso drumming di Lauraéus. E come nella splendida suite finale, “Blood Of The Ancients”, morbido e dolce crescendo sinfonico dalla calma più angelica alla furia devastatrice della macchina-Hyperion lanciata a tutta velocità verso le galassie più lontane.

Il symphonic black metal non è morto. Gli Hyperion son qui, per darne atto agli scettici con il loro “Seraphical Euphony”.

Daniele D’Adamo

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