Recensione: Shadowlands

Di federico venditti - 2 Luglio 2018 - 17:00
Shadowlands
Etichetta:
Genere: Stoner 
Anno: 2018
Nazione:
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79

Chi di voi è particolarmente addentro a certe sonorità sabbiose e figlie del deserto, sicuramente avrà già sentito nominare gli americani Mos Generator, band stoner heavy rock che dal 2000 in avanti ha sfornato una serie di dischi sempre più belli e maturi.  Nel mondo underground stoner/doom ci sono moltissime band che propongono un sound scuro e debitore al Sabba Nero, ma lasciatemi dire che nessun gruppo come quello capitanato dal mastermind Tony Reed (chitarra e voce) è riuscito a mischiare con maestria, come un esperto alchimista medioevale, il suono sporco dei Kyuss e dei Monster Magnet con melodie efficaci che devono molto al giovane Ozzy. Il timbro nasale di Tony Reed vi farà innamorare del combo a stelle a strisce, che con questo lavoro nuovo di zecca dal titolo “Shadowlands”, inanella un trittico di piccoli diamanti grezzi scolpiti nella roccia, iniziato nel 2016 con il devastante, e migliore della serie, “Abyssinia”.

La copertina dell’album salta subito all’occhio perche’ potrebbe sviare piu’ di un ascoltatore distratto, che potrebbe pensare che suonino del ferale black metal, invece di uno stoner massiccio ed ossianico. La band americana non reinventa di certo la ruota (ma d’altronde oggi chi ne è capace?), ma reinterpreta in modo convincente la lezione dei Sabbath del periodo “Sabotage”, con melodie agrodolci che riportano alla mente anche qualcosa dei mai dimenticati WitchFinder General. Spetta alla title track il compito di aprire i giochi con un riff liquido che si incastra alla perfezione con la voce del barbuto Reed, ma è il riff granitico della seguente “The Destroyer” a conquistare la palma del miglior brano del lotto. Durante l’ascolto verrete seppelliti da un monolite nero lanciato da una galassia parallela verso le vostre teste a folle velocità. La sezione ritmica, formata dai due nuovi arrivati Sean Booth al basso e Jon Garrett dietro le pelli, é solida nel formare un tappeto sonoro dove Reed può lanciarsi nei suo assoli sempre melodici e debitori del miglior Tony Iommi. La seconda parte del disco, che parte dalla sperimentale “Gamma/Hydra”, ci offre un lato del gruppo inaspettato e poco esplorato fino ad oggi, dal momento che si sentono degli echi lisergici nelle lunghe jam strumentali, come in “The Wild and Gentle Dogs”.
 

Tirando le somme, un disco che, seppur non un capolavoro, si attesta su buoni livelli per tutta la sua durata, mostrando ancora una volta che i Mos Generator non hanno nulla da imparare da altre più blasonate realtà. In tre anni hanno dato alle stampe tre ottimi lavori di stoner/doom rock. Se passano dalle vostre parti non lasciateveli scappare.
 

 

 

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