Recensione: Springtime Depression

Di Matteo Bovio - 16 Agosto 2003 - 0:00
Springtime Depression
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Anno: 2003
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85

Quello che le note e le parole di Forgotten Tomb ci dicono è veramente impossibile da replicare in una recensione; con quest’opera magnifica che è il suo nuovo lavoro, verremo ancora una volta gettati tra armonie e lamenti disperati, parte di una musica talvolta ipnotica, capace di farci perdere e assorbire completamente dall’ascolto. L’altissimo livello d’attenzione che le sei non immediatissime tracce generano, è niente meno che la prova di come Herr Morbid possegga una maturità compositiva che lo getta anni luce distante dalla moltitudine delle uscite sedicenti d’avanguardia. E di fatto nemmeno questo cd possiede nulla di realmente avanguardistico, al massimo possiamo spingergi a dire che porta i dettami della vecchia scena a convivere in perfetta armonia con le esigenze di un uscita del 2003: la sua arma? La qualità.

Come sottolineato dallo stesso Herr Morbid in sede d’intervista, è alle linee armoniche che è affidata la struttura portante delle canzoni. Sono infatti veramente ridotti gli arrangiamenti solisti, preferendo a questi consistenti tappeti chitarristici sorretti da arpeggi dall’incredibile espressività. L’ottimo lavoro fatto in fase di produzione lascia spazio a tutti questi elementi, dandogli il giusto risalto a seconda del contesto, senza lasciare nessun vuoto ma neanche saturando ed impastando il tutto. L’unico equilibrio che non viene rispettato in Springtime Depression è quello emotivo, tristemente calpestato e dilaniato in episodi come ad esempio la bellissima “Scars”. Un brano molto lento, ricco degli arpeggi sopra citati, in cui i saltuari arrangiamenti di chitarra aggiungono qualcosa proprio per la loro essenzialità.

Molto particolare il fatto che la title-track sia una strumentale, quasi a voler abbandonare totalmente alla musica il mistero di questo album. Toni tristi, volendo essere scontati direi proprio depressivi, ci ricordano che qualunque sia l’etichetta che vogliamo dare a questa musica, niente sarà mai tanto corretto quanto limitarci a descriverla come l’ennesimo capolavoro di Herr Morbid. Che ci regala un episodio più veloce come “Daylight Obsession”, pur arrivando alle vette reali in apertura ed in chiusura. Una chiusura che sfocia in quasi 12 minuti di musica, la cui lunghezza è tuttavia insignificante per chi veramente adori questo genere di sonorità. Abolendo per l’ennesima volta i limiti del Doom o del Black Metal, le note di “Daylight Obsession” rallenteranno la nostra percezione fino a fermarla su quell’unica, disperata visione di vita, dove speranza è una parola sconosciuta.

E mi permetto di chiudere spendendo due parole su “Todestrieb”, prima traccia, nonchè, a mio parere, culmine compositivo dell’intero Springtime Depression. Tutti gli elementi migliori, stilistici e lirici, prendono forma in una singola canzone. Spariscono, per diventare parte di qualcosa al di là della musica, che in realtà è la musica stessa, nella sua forma più elementare: una comunicazione ad uno ad uno con l’ascoltatore, senza che di mezzo passi altro che le vibrazioni dei suoni. Non ho veramente null’altro da aggiungere su una canzone così perfetta, tanto perfetta da risultare quasi elementare.

Oggi il numero di fondo pagina paragona questo lavoro alle altre grandi uscite di quest’annata passate tra le mie mani, ma non ho dubbi che il tempo dimostrerà nella mia coscienza, così come in quella dei vari fan del gruppo, come questo non sia semplicemente un ottimo lavoro, ma più presumibilmente un must del genere. Da prendere (ed ascoltare) ad occhi chiusi.
Matteo Bovio

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