Recensione: Straight Out Of Hell

Di Luca Montini - 14 Febbraio 2013 - 0:00
Straight Out Of Hell
Band: Helloween
Etichetta: Nuclear Blast
Genere: Power 
Anno: 2013
Nazione:
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80

“Don’t wanna know/ where the sinners go”, asseriva Andi Deris nell’incipit dell’ultimo full-length: “7 Sinners” (2010). Considerata l’ottima qualità del suddetto album, pesante, melodico e profondo al punto giusto, il nostro interrogativo, peccatori a parte, era sapere in quale direzione stessero andando gli Helloween – perché quella di “7 Sinners” ci sembrava davvero la direzione giusta, forse già intrapresa dall’ottimo “Gambling with the Devil” (2007), seppur attraverso la controversa release di Unarmed (2010).
Lo stesso quesito era replicato, in versione live, nella “Where the sinners go” contenuta nel singolo “Burning Sun” (ottobre 2012), prima vera anticipazione dell’album qui recensito. Forse il titolo di questo quattordicesimo studio album “Straight out of Hell” è una valida risposta in pieno stile Helloween al non-interrogativo che ci siamo appena proposti.

L’attesa, del resto, si era fatta molto pesante. Dopo l’EP “Burning Sun” aveva fatto capolino il video di “Nabataea” (dicembre 2012), assieme alla cover dell’album, svelata per fasi successive da un teatrale sipario virtuale sulla pagina facebook e sul sito della band.
Il video, un po’ come l’immagine dell’album, abusa di effetti grafici computerizzati. Non male la realizzazione da un punto di vista prettamente scenografico nelle parti “reali” che hanno per protagonista il bambino-lettore ed il quintetto Deris, Weikath, Gerstner, Grosskopf e Löble (ci sono anche le zucche!), ma nelle animazioni dei personaggi virtuali ricorda lontanamente le legnose cut-scene in full motion video di vecchie glorie videoludiche degli anni ’90 – i filmati non interattivi della prima playstation, per intenderci. Da notare anche un po’ di confusione nelle immagini della civiltà nabatea che forse nel video più che ad una civiltà araba somiglia un po’ troppo ai Maya che in quel dicembre 2012 andavano terrorizzando il mondo – immagini che mi hanno riportato alla mente quelle dell’ultimo singolo “A Voice in the Dark” (2010) dei connazionali Blind Guardian.
La cover di “Straight out of Hell” è un po’ pacchiana e probabilmente non piacerà a tutti, anche se l’arancione delle zucche ed il verde velenoso dello scenario che si stagliano nel dinamismo del conflitto sprigionato si addicono decisamente ai toni dell’album. Anche il logo appare leggermente modificato, con la zucca che si premunisce di maschera antigas. Si fanno notare ad un primo colpo d’occhio: il proiettile in volo, la granata a terra e gli edifici bombardati, gli aerei in cielo ed il soldato-zucca con la bandiera; il tema della guerra è forte, ed è proprio con il tema della guerra che inizia la nostra avventura nella track-by-track di “Straight out of Hell”.

Senza indugi, veniamo subito rapiti dall’ascolto dell’imponente “Nabataea”, riproposta con un breve e poetico intermezzo dedicato alla capitale Petra, assente nel video, per raggiungere la durata definitiva di sette minuti. Probabilmente il brano più complesso dell’album (sicuramente il più lungo), pieno di cambi di tempo e carico d’atmosfera sin dal primo riff. Il brano tratta della civiltà dei nabatei, non so con quale attendibilità storica considerata da Andi “la prima democrazia della storia”, il lamento remoto di un’utopia pacifica e non belligerante. La sezione ritmica è potente, il chorus è trascinante ed il pezzo rischia pericolosamente di diventare uno tra i migliori della carriera quasi trentennale della band.
Da una civiltà pacifica distrutta da un’invasione inaspettata (vedi: le scene del video descritte sopra), di nuovo guerra con “World of War”. Celebri oltre che per il power metal scanzonato e guascone, anche per la critica sociale più o meno celata nei loro brani, le Zucche di Amburgo qui denunciano la guerra totale in quanto strumento e soluzione ai problemi. Un altro bel pezzo tirato dall’inizio al ritornello melodico accompagnato dalla doppia cassa di un Daniel Löble in grandissima forma; è presente anche un breve assolo di basso del buon Markus Grosskopf, prima dei solos incrociati delle chitarre.
“Live Now!” è, che la cosa piaccia o meno, il solito brano happy metal stile Helloween: ritornello catchy che arriva dopo pochi secondi (dopo un minuto e venti secondi siamo già al secondo chorus tastieroso, quasi da buona tradizione pop), orecchiabile fin dal primo ascolto, semplice ed immediata. “Far from the Stars” offre una breve intro di chitarre seguito da una strofa prima pesante e sincopata, poi accelerazione e ritornello corale di nuovo decisamente orecchiabile e diretto con qualche effetto di tastiera, particolarmente presente in quest’ultima produzione. “Burning Sun”, come già segnalato ad inizio recensione, è il primo brano presentato di quest’album: molto aggressiva la strofa, notevole l’attacco di Deris, la cui prestazione in quest’album è davvero indiscutibile, anche per i suoi detrattori più accaniti. Deciso il riffing e la batteria, epico il coro nel ritornello. Sin dalla sua breve intro al pianoforte, “Waiting for the Thunder” suona come una sfida romantica, un brano carico di energia in attesa del giudizio divino nella folgore; del dolore, del castigo, della morte.

Semmai qualcuno fosse un po’ stanco di power metal, nel mezzo del cammin del nostro ascolto arriva l’inevitabile ballad: “Hold me in your Arms”. Scritta dal buon Sasha Gestner, non sarà di certo ricordata come la ballad del secolo ma farà certamente venir voglia alle fan di concedere almeno un sentito abbraccio al povero e bisognoso Andi, se non altro per la buona interpretazione. Sempre per parlare del buon Andi; è l’autore del brano successivo: “Wanna be God”, vero e proprio tributo a Freddie Mercury ed alla sua “We will rock you”, alla quale l’accostamento per sonorità e struttura appare immediato sin dal primo ascolto. Il brano parla ovviamente di un uomo esaltato e superbo, il quale non si accontenta di assumere il ruolo di angelo – egli vuole essere Dio. Un po’ come Lucifero.
Segue la title track che ben incarna lo spirito dell’album: “Straight out of Hell”, un brano power metal abbastanza classico, divertente, spensierato, veloce e positivo. Il ritornello sembra scritto per essere cantato in allegra compagnia in sede live.
Poco – o troppo? – da dire su “Asshole”: questo potrebbe facilmente essere il brano più criticato dell’album, struttura elementare, esclusivamente incentrato sulla provocazione (dal titolo c’era da aspettarselo, vero?): uno sfogo per dare dello “stupid shit”, del “sucker” e quant’altro a qualche interlocutore-bersaglio. Per quanto riguarda chi scrive, onestamente questo brano risveglia in me qualche ghigno divertito, sebbene tuttora ne ignori il motivo, se l’ingenuità di Sasha Gerstner, autore del brano, oppure se il sorriso vada a raggiungere un eventuale individuo al quale dedicare questo testo profondo e carico di significato anagogico.
Composto da Michael Weikath, “Years” è un pezzo corale ottimista e positivo in pieno stile Helloween, che invita a non cedere alla paura mentre gli anni passano – forse da dedicare agli stessi Helloween?

Chiudono l’album con il botto due piccole perle: “Make Fire catch the Fly”, un brano cupo e straniante, pieno di cambi di tempo ed un’interpretazione vocale a dir poco teatrale. Senza uscire dalla metafora, il brano narra di come la mosca, sempre attratta dalla fonte di calore, ripeta a sé stessa di non cadere in tentazione. Ma non riesce. Ed ogni volta ne è di nuovo vittima, e si avvicina, si allontana, si avvicina… finché, infine, nel suo ultimo volo non viene catturata dalla luce e dalle fiamme della morte.
Conclude l’ascolto “Church breaks down”, con tanto di citazione al nostro Da Vinci, sull’oscurantismo della chiesa, in fiamme, dinanzi all’evoluzione della conoscenza scientifica. Brano potente, aggressivo e diretto; ottimo lo spunto di cori, organo e campana in apertura e l’intermezzo a metà del brano (Dies Irae…), a richiamare la soppressione della chiesa nei confronti del libero pensiero, da parte di chi pretende di conoscere la verità su passato e futuro. “… left crosses in flames”.

Come da buona tradizione per le Zucche di Amburgo, quest’album verrà criticato, bistrattato ed ignorato dai nostalgici keepers of the keepers of the seven keys, ovvero da coloro i quali non hanno più apprezzato (quasi) nessuna produzione degli Helloween dagli anni dell’abbandono di Kai Hansen (prima) e Michael Kiske (poi), ormai un ventennio fa. La varietà della proposta musicale, considerata anche la numerosità dei brani, inoltre, potrebbe portare a non apprezzare l’album in tutta la sua interezza, dando il via al solito tiro al piattello alla ricerca degli odiosi filler. Forse, in effetti, tra un ascolto e l’altro capita di skippare qualche traccia, magari orecchiabile ai primi ascolti ma presto venuta a noia. Ma chi vorrà concedere a “Straight out of Hell” una chance, probabilmente si ritroverà dinanzi ad una band ormai solida ed affiatata e con tanta voglia di suonare, esprimersi e soprattutto divertirsi, capace di una prestazione notevole in un album che, seppure non si tratti di un capolavoro assoluto, certamente non deluderà le numerose aspettative che negli ultimi anni gli Helloween continuano a confermare in positivo con grande slancio e creatività.

Per essere tra i vecchi progenitori del power metal teutonico, Weikath e soci danno ancora prova di grande vivacità compositiva. Reduci da ottime prestazioni live negli ultimi anni, gli infaticabili Helloween stanno per tornare anche in Italia con l’Hellish Tour pt.2, assieme ai Gamma Ray di Kai Hansen.

Queste Zucche sono davvero immarcescibili!

“This road to hell and I won‘t find no resurrection
Cause I will sell my dirty soul to rock n‘ roll…”

Luca “Monsteen” Montini

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Tracklist:

01. Nabataea    
02. World of War    
03. Live Now!    
04. Far from the Stars    
05. Burning Sun    
06. Waiting for the Thunder    
07. Hold Me in Your Arms    
08. Wanna Be God    
09. Straight Out of Hell    
10. Asshole    
11. Years
12. Make Fire Catch the Fly    
13. Church Breaks Down

Line up:

Andi Deris – Voce
Michael Weikath – Chitarre
Sascha Gerstner – Chitarre
Markus Grosskopf – Basso
Dani Löble – Batteria
 

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