Recensione: Strangers In Paradise

Di Fabio Vellata - 3 Dicembre 2014 - 0:15
Strangers In Paradise
Band: Neonfly
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2014
Nazione:
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83

Dopo il piacevole debutto “Outshine The Sun” datato 2011, i britannici Neonfly hanno atteso tre anni prima di dar seguito a quello che a molti addetti ai lavori era apparso materiale di buona qualità, album che, seppur parecchio devoto ad un buon numero di evidenti influenze, denotava una notevole ricchezza compositiva mescolata ad alto profilo tecnico.

Tre anni trascorsi a perfezionare, raccogliere esperienze, ingrandire il proprio bagaglio per poi potersi presentare al traguardo del secondo cd in carriera con qualche elemento in più ed un bel po’ di idee su come impostare un prodotto che potesse, in qualche modo, riuscire ad emergere da una massa ormai divenuta talmente voluminosa da lasciare ben pochi spazi liberi.
Nei tempi attuali, il problema per le giovani leve è quello di farsi ascoltare, colpendo con qualcosa di personale, utile nel rendersi accattivanti e quindi preferibili a mille altri: un obiettivo che per i Neonfly pare essere colpito in buona parte.
“Strangers in Paradise” è, in effetti, un cd che gronda talento ed ottime trovate stilistiche, perennemente in bilico tra le accezioni più sofisticate del power metal, qualche sentore prog ed una bella e rilucente anima hard rock, testimone di alcuni ritornelli di singolare efficacia che, per quanto brillanti, potrebbero quasi dirsi figli di una band AOR.

Un piatto ricco, fatto di brani veloci, orecchiabili, pieni di vitalità ed un feeling positivo di fondo che accresce il fascino di una proposta che, partendo da capisaldi definiti, riesce – una volta tanto – a vivere di luce propria.
Merito essenzialmente dell’eccellente produzione di Dennis Ward, pluridecorato producer già in azione con innumerevoli grandi band, indicato da molti nel novero degli odierni maestri del mixer. Uno, per dirla in stile “uomo della strada”, che non si muove di certo per produrre un gruppuscolo di terza categoria.
E merito soprattutto del già citato talento dei cinque ragazzotti inglesi, autori di un album che allinea in un solo colpo Masterplan, Angra, Symphony X, Pink Cream 69, Shy, Jaded Heart e Sonata Arctica nelle esperienze migliori, condite con un piglio frizzante ed un dinamismo che piace letteralmente al primo colpo.

Con una opener quale “Whispered Dreams” del resto, le cose paiono sin da subito in discesa: strumentalmente piena ed arrembante, risplende in una melodia che conquista e sfocia in un ritornello ad ampio respiro, immediato, solare quasi abbagliante. Roba che i Sonata Arctica facevano un bel po’ di anni fa, per intenderci…
Buonissimo il cantato di Willy Norton – singer che pare quasi costruito in laboratorio appositamente per il genere – mentre ancor più rimarchevole appare il lavoro svolto alla chitarra dai fenomenali Frederick Thunder e Patrick Harrington, coppia d’asce che sarà autentica delizia per tutto il prosieguo del disco.
La più cupa e drammatica “Highways To Nowhere”, power metal arcigno e potente, è invece il preludio ad una delle vette più elevate di “Strangers In Paradise”. “Better Angels” è, probabilmente, una sorta di “tesi di laurea” che certifica la qualità della band inglese: melodia rarefatta in un giro armonico che lascia sognare ad occhi aperti, doppiato da chitarre che si fanno via via più pressanti a condurre verso un chorus praticamente perfetto. Classe.

Fatta la conoscenza iniziale con i primi tre brani, l’animo è ormai ben disposto nell’attendere ulteriori momenti di buon livello disseminati lungo la tracklist. Ed ecco quindi fiorire la stupenda power-ballad “Rose In Bloom”, pezzo in cui i Pink Cream 69 si fondono con gli Angra, la teatrale ed urgente “Heart In The Sun” e le “sorelline” “Aztec Gold” e “Fierce Battallions”, episodi di eccellente taglio strumentale che condividono atmosfere e cadenze, tanto da sembrare quasi organiche le une alle altre in una specie di continuum narrativo.
Per stile e piglio (e pure artwork, ispirato alla cultura Azteca), siamo dalle parti dell’illustre “Holy Land” di casa Angra. Senza sfigurare al confronto, per altro…

Un taglio ancora di matrice dichiaratamente power è quanto attende nelle parti conclusive del cd, miscelato però a spunti di radice hard: “Sons Of Liberty” è nuovamente un misto Angra / Sonata Arctica con, tuttavia, un approccio più rock, posto in luce soprattutto nell’ennesimo ritornello riuscito di cui è disseminato “Strangers In Paradise”.

Il finale è quindi riservato a due dei brani di maggior profilo proposti in scaletta: la lunga “Chasing The Night” sembra, infatti, approssimarsi ancora una volta agli stilemi cari agli Angra, salvo poi svisare in territori progressive nel bridge centrale, campo libero lasciato all’alchimia strumentale di un gruppo di musicisti con i fiocchi: ascoltare le fughe ed i duelli tra i vari strumenti per credere.
E quindi “Falling Star”, passaggio cui è affidato il difficile compito di chiudere un album sorprendente per quanto elevato in termini qualitativi: un po’ di pace e relax dopo la tempesta di luci e scintille offerte sinora, in una canzone che –  nemmeno a dirlo – beneficia dell’ennesimo coro centrale di massima efficacia ed in cui emerge lo spirito più AOR del gruppo britannico. Quasi, quasi, verrebbe addirittura da pensare agli H.e.a.t

Sorpresi molto piacevolmente. Colpiti in senso del tutto positivo. Convinti che questo sia un gruppo dall’altissimo potenziale cui, mantenuta questa rotta, potranno andare molte attenzioni e grandi consensi.

Orfani dei Sonata Arctica o semplicemente desiderosi di ascoltare un ottimo cd di melodic metal prodotto, suonato e cantato in maniera egregia?
Dar credito ed ascolto ai Neonfly, prego: non ci sarà da pentirsene.

 

 

 

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