Recensione: The Bulls & The Bees

Di Stefano Burini - 27 Maggio 2013 - 0:01
The Bulls & The Bees
Band: The Melvins
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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75

The Melvins: un nome che da trent’anni esatti, nonostante l’esordio discografico vero e proprio risalga in realtà al 1986, è sinonimo di sperimentazione e avanguardia in campo musicale. Il combo di Seattle capitanato da Roger “Buzz” Osbourne (voce e chitarra) e Dale Crover (percussioni), i due membri di più lungo corso all’interno di una line up che nell’arco di tre decenni ha visto avvicendarsi al suo interno musicisti del calibro di Matt Lukin (Mudhoney), Joe Preston (Earth, Sunn O)))High On Fire) e Adam Jones (Tool), ha sempre potuto vantare innato talento e grande eclettismo tra i propri punti di maggior forza. Punti di forza che, come verificatosi per molte altre realtà che hanno poi fatto la storia del metal estremo e più sperimentale, hanno permesso alla band di prendere le mosse dalle sonorità dei gruppi in voga negli States proprio in quegli anni, per poi arrivare, con il passare del tempo, a creare uno stile sempre più personale e unico in grado di sintetizzare in un tutt’uno i tratti somatici di  hardcore punkstoner, sludge e doom metal.

La “ricetta”, ovviamente, è stata riassunta per sommi capi, sicché accanto a questi ingredienti di base, è altrettanto d’obbligo citare i retrogusti assimilabili all’alternative, al noise rock e persino al thrash metal che fanno capolino di volta in volta, in base al periodo e al progetto: un humus decisamente fertile che ha costituito negli anni un punto di partenza per numerose correnti musicali giunte alla ribalta magari più tardi eppur in grado di sopravanzare (quasi) sempre i Maestri in termini di popolarità. Non è, in effetti, un mistero il debito di ispirazione tributato al gruppo di King Buzzo da parte di band del calibro di Nirvana e Soundgarden da un lato e Mastodon e Neurosis dall’altro ed è un piacere sottolineare come, ancora oggi e nonostante una quantità non indifferente di album, EP, singoli, split e live alle spalle, i Melvins siano in grado di dire la loro, mettendo spesso in riga formazioni decisamente più giovani e mediaticamente più quotate.

Un esempio decisamente azzeccato di quanto sinora asserito lo possiamo riscontrare tra le cinque canzoni che vanno a comporre l’EP intitolato “The Bulls And The Bees”, distribuito gratuitamente nel 2012, tramite Scion A/V, in formato digitale. “The War On Wisdom” apre le danze con uno di quei riff che sin dal primo ascolto danno l’idea di trovarsi di fronte ad una band che non lascia mai nulla al caso e riesce sempre a tirar fuori dal cilindro qualcosa di assolutamente notevole e mai scontato. C’è del Rock, nel senso più ampio del termine, c’è l’hardcore e poi lo stoner e lo sludge, ritmiche ficcanti e l’alternarsi di vocals cantilenanti a screaming stridenti da pelle d’oca, fino al finale di decisa marca speed/thrash: un brano che in tre minuti e quaranta secondi presenta più idee di quanto altre band mediamente sciorinano in un’intero album.

Con “We Are Doomed” viriamo verso lidi cari ai primi Black Sabbath, con l’intro tutta storta e dissonante a rimandare la mente alla seminale traccia omonima dei rocker di Birmingham e il ritmo inizialmente sonnolento di chiara marca doom. I cori allucinati, innestati su ritmiche ossessive, palesano tuttavia il legame tra i Melvins e la scena grunge/alternative rock (peraltro sviluppatasi inizialmente proprio nella loro stessa città) e, di converso, la facilità con la quale vengono gestiti, nel volgere di un battito di ciglia, i continui cambiamenti di mood del brano, tra spietate accelerazioni e repentini rallentamenti, è un qualcosa che lascia interdetti e che rende solo vagamente l’idea di cosa King Buzzo e compagnia siano effettivamente in grado di fare.

La seconda parte dell’EP si gioca su frequenze più basse, andando a privilegiare il lato più onirico della musica del quartetto di Seattle. “Friends Before Larry” è, dunque, un intermezzo strumentale (se si eccettuano alcuni “versi” filtrati, mixati in lontananza) sostanzialmente rumoristico, teso, vibrante e del tutto adatto a fare da ponte verso la successiva “A Really Long Wait”, lisergica e rarefatta come di più è difficile immaginare e in vista di un finale riservato alla spettacolare “National Hamster”, animata da riff irresistibili e da una facilità nel comporre e nell’orchestrare differenti sensazioni davvero impareggiabile.

Nel complesso, un mini probabilmente “facile come bere un bicchier d’acqua” per dei fuoriclasse come i Melvins quanto, nel contempo, davvero bello e “vitale”; un esempio di commistione di generi intelligente e di grande classe, composto e suonato con tutti i dovuti crismi e ancora oggi disponibile per il download (legale) gratuito. Che altro volere di più?

Stefano Burini

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