Recensione: The Dark Passenger

Di Nadia Giordano - 16 Marzo 2016 - 9:24
The Dark Passenger
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2015
Nazione:
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60

 

I Kross of Khaoss sono una band trevigiana formatasi nel 2012 da un’idea del chitarrista Checco. Solo nel 2015, dopo aver suonato in vari live club, pub ed aver condiviso il palco con band del calibro di Domine e Necrodeath, i Kross of Khaoss decidono di registrare il loro primo EP, totalmente autoprodotto, dal titolo “The Dark Passenger”.

Le influenze stilistiche dal quale attingono Perenz e Checco (chitarre), Mattia (voce), Pier (batteria) e Sergio (basso), sono le più disparate, dall’heavy, al thrash, al doom e derivazioni di stampo punk.

Ed è proprio questo voler fondere più generi così differenti tra loro a conferire un risultato finale poco omogeneo, ma forse è ciò che il quintetto voleva comunicare, infatti, a detta dei fautori, l’EP risulta essere “acido, alcolico e bastardo”.

Ma veniamo all’analisi dei cinque brani proposti in questo “The Dark Passenger”.

Prendete una tranquilla sera d’estate mentre degli “adorabili” gattini, indemoniati come pochi, litigano tra loro. 

Ora, prendete un motosega e tagliate il tutto in piccoli pezzi, avrete così ottenuto l’intro di “Stew of Meow (Chinese Democracy)” (un approccio decisamente estremo ed esplicito verso gli animali, su cui la redazione di Truemetal ovviamente non concorda. NdR).

Abbandonati i gatti al loro destino, continuiamo con la successiva “Silence (Arising Fire)” dal puro stile hard rock, con una composizione molto istintiva e naturale che sfocia quasi nel punk di Sid Vicious, senza dover per forza dare adito a tecnicismi e virtuosismi vari.

In “Strange Kind of Friend” emergono soprattutto le chitarre di Perenz e Checco, forti, veloci e con una ritmica molto serrata che ricorda lo stile dei primi Metallica.

Con “Master and Slave” ci spostiamo su sonorità più sabbathiane, soprattutto nella prima metà del brano, per poi ritornare nuovamente al thrash, in una sorta di filo conduttore con la traccia precedente. Particolare attenzione va prestata al basso, molto interessante nella parte del solo.

Nell’ultima “Tale of a Drunkard” predomina ancora quella vena della Bay Area che però si fonde con l’heavy ottantiano, spezzato a tratti da una vena growl.

 

In conclusione, ciò che posso dire ai Kross of Khaoss è quello di  continuare a lavorare per migliorarsi e di fare molto affidamento sulle chitarre, forse gli elementi più solidi dal punto di vista tecnico. L’idea di fondo, di prendere spunto da molti generi differenti tra loro è indubbiamente stimolante ed interessante, ma bisogna cercare, durante il songwriting, di rendere il tutto più fluido.

 

Nadia _Spugna_ Giordano

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