Recensione: The dark ride

Di Paolo Beretta - 5 Settembre 2002 - 0:00
The Dark Ride
Band: Helloween
Etichetta:
Genere:
Anno: 2000
Nazione:
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84

Quando penso agli Helloween automaticamente mi viene voglia di sorridere e scherzare. Mi viene in mente una giornata estiva passata con la propria compagnia a parlare del più del meno e, magari, a bere decisamente troppo. Questa per me è sempre stata la grande forza delle zucche: “La capacità di sollevarci gli animi con una musica di qualità, potente e maledettamente allegra”. The Dark Ride, nono studio album degli amburghesi, ha cancellato, con un deciso colpo di spugna, tutto questo e ha distrutto, dopo il lungo Tour mondiale, per l’ennesima volta la line up portando all’uscita del batterista Uli Kusch e del guitarist Roland Grapow. Per tutti i motivi sopracitati non ho dubbi nell’affermare che TDR è un album storico e scomodo che sicuramente farà discutere ancora per molti anni. Fin dall’opener strumentale l’ascoltatore intuisce, fra suoni sinistri accompagnati dal vento freddo che soffia, che c’è qualcosa di anomalo e strano rispetto al solito. La suc cessiva Mr. Torture non fa che confermare i dubbi: Le tastiere oscure lanciano le chitarre di Weikath e Grapow in un riffing duro e arcigno. Le melodie cercano, invano, di farsi largo nel chorus ma sono solo brevi istanti che vengono ben soffocati dal cantato tagliente e riuscito del ritrovato Deris. In All Over The Nations si respira invece un Power decisamente più solare e immediato per una song molto tradizionale che piace per la velocità sostenuta e per la spiccata vena melodica. Il timido sole evocato da questa track non dura. Nuvoloni neri, densi di elettricità si scagliano con irruenza nella devastante Escalation 666. 4 minuti abbondanti di potenza allo stato puro, riff perpetui, tempi cadenzati e strofe “cattive” che terminano in un pauroso refrain minimale sibilato con classe. Più diretta e facile la successiva marcia cadenzata Mirror Mirror che, ancora una volta, colpisce per il suo approccio decisamente Heavy. Persino il singolo If I Could Fly non riesce ad allontanare l’atmosfera grigia e buia che caratterizza quest’album. Ancora una volta si procede molto lentamente esaltando, così facendo, al massimo il cantato altalenante di Deris per una Hit d’impatto che nel finale tenta, senza successo, di alzare il ritmo. Salvation è puro Helloween Style. Kusch e Grosskopf finalmente tornano a dettare tempi interessanti. Le strofe immediate scivolano con classe per sfociare nel chorus studiato mentre, nel lungo solos finale, Weikath (autore della Hit) ci mette del suo. Con Departed le zucche toccano punte di eccellenza. Un brano estremamente originale che è dotato di grandiose melodie ipnotiche nel refrain e che cattura l’attenzione con la sua malinconia avvolgente. In I Live For Your Pain il basso Markus spadroneggia e nelle strofe Deris urla magistralmente tutta la sua rabbia. L’oscura We Damn The Night riesce a sollevarsi dopo un inizio abbastanza banale grazie ad un break centrale coinvolgente dove keyboard, basso pregnate e solos veloci si fon dono con classe. In Immortal le zucche si sono cimentate in un lento di qualità triste ed emozionante che raggiunge l’apice nel solos, perfetto nella sua banalità. The Dark Ride si conclude con la title track e fare meglio di così era impossibile. 8 minuti di godimento per una Power Metal song completa. C’è la melodia negli assoli fulmei, la potenza nelle strofe decise, l’originalità nei break e, a completare il tutto, un finale pomposo che saluta i fans. TDR in conclusione rappresenta il lato oscuro e pesante delle zucche. Inizialmente, proprio per questa distanza dal loro tipico sound allegro, l’ ho sottovalutato ma, con il tempo, mi sono ricreduto. E’ un album di spessore suonato e prodotto magistralmente che è stato impreziosito dalla prova superlativa di Andi Deris. Un lavoro da avere a prescindere dalla vostra fede musicale!

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