Recensione: The Distortion Field

Di Orso Comellini - 6 Ottobre 2013 - 17:42
The Distortion Field
Band: Trouble
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2013
Nazione:
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70

Una delle uscite più attese di questo 2013 – almeno per il sottoscritto – era senz’altro la nuova fatica dei Trouble. Vuoi perché ovviamente il combo di Chicago rientra assieme a pochi eletti nel novero dei pionieri del genere doom riuscendo a distinguersi per personalità in un panorama nel quale è tutt’altro che scontato affrancarsi dall’oscura ombra dei maestri Black Sabbath, vuoi perché l’uscita di scena del carismatico (ed affettivamente insostituibile) singer Eric Wagner sembrava mettere la parola “Fine” sulla loro carriera. Tutto questo all’indomani di un ritorno sulle scene con l’onestissimo “Simple Mind Condition” (2007) e relativo tour che era arrivato a toccare perfino il Bel Paese con una data bolognese disertata, ahimè, dai più, che tuttavia i Nostri hanno onorato fino in fondo prodigandosi in uno show durato più di due ore davvero esaltanti, senza risparmiare neanche una goccia di sudore. Serata caratterizzata anche dall’estrema disponibilità di Wagner nel concedersi al pubblico per foto ed autografi.

Qualcosa però si era rotto in quello che sembrava un meccanismo rodato e ben oliato, tanto che l’ormai ex-vocalist, riuniti altri due membri fondatori del gruppo (Jeff “Oly” Olson alla batteria e Ron Holzner al basso), aveva dato vita ai The Skull per una serie di date dal vivo incentrate sul vecchio materiale della band d’origine, lasciando sulle spalle dell’ottima coppia d’asce Wartell/Franklin il compito di portare avanti quello che restava del gruppo.

 I due chitarristi, rimboccatisi le maniche, avevano assoldato in un primo momento Kory Clarke (Warrior Soul) portandoselo in tournée, per quella che era una scelta molto suggestiva ma poco praticabile, date le recenti difficoltà canore di quest’ultimo (dotato però in passato di una delle voci più emozionanti ed eclettiche nel panorama della musica dura). Nonostante l’annuncio dell’imminente uscita di una nuova release, che avrebbe dovuto intitolarsi “The Dark Riff”, l’album non vide mai la luce. Almeno fino all’annuncio dell’ingresso in pianta stabile dello sbalorditivo Kyle Thomas – sì, proprio quello di “Slaughter In The Vatican” con i suoi Exhorder –, ironia della sorte per una band storicamente caratterizzata da liriche di stampo cristiano…

Cambiato il titolo in “The Distortion Field”, riadattato probabilmente alle esigenze della nuova ugola e completato il processo compositivo, dopo ben cinque anni, i Trouble fanno finalmente ritorno con un album d’inediti.

Rimane vacante al momento delle registrazioni il posto di bassista e, infatti, sono gli stessi Wartell e Franklin a spartirsi le linee di basso, eccezion fatta per la conclusiva “Your Reflection” sulla quale ha suonato il misconosciuto Michael Drew. Ritorna, invece, dietro al mixer uno dei più autorevoli esponenti nella categoria e produttore dei primi due album: Bill Metoyer.

L’album parte nel migliore dei modi con un riff plumbeo degno della catacombale “R.I.P.” dall’album omonimo, sorretto magistralmente da un oscuro arpeggio che ne amplifica la resa, finché il brano non esplode in tutta la sua potenza mentre Thomas, citando altre liriche del suo predecessore (nonché alcuni dei più celebri brani dell’ensemble), esordisce con voce quasi gracchiante con «The bastard meeting once again», come a voler dare una certa continuità rassicurante con il passato. I suoni sono ottimi, le due asce dannatamente in forma, come dimostrano gli scambi di soli da manuale sui quali c’è impresso a fuoco il loro trademark (per non parlare del magnetico riff portante) e Thomas appare veramente in forma smagliante oltre che a suo agio con certe composizioni. Troppo evidente per non essere una palese citazione quell’«On, and on, and on» con il quale omaggia a suo modo – ritengo – la memoria dell’inarrivabile R.J.Dio. Tutti ingredienti che fanno di “When The Sky Comes Down” uno dei brani più riusciti di questo lavoro. Cala leggermente l’attenzione con un paio di tracce comunque oneste come “Paranoia Conspiracy” e “The Broken Have Spoken” che però pagano qualcosa in termini di personalità. La prima, infatti, sembra in parte uscire dal pentagramma di Michael Amott con i suoi Spiritual Beggars, ma si lascia apprezzare in ogni caso per i coinvolgenti riff stoppati. La seconda, invece, paga pegno nei confronti del tipico stile di Zakk Wylde. Anche in questo caso la traccia si salva per i vari soli brevi inseriti nel tessuto della traccia e quello più lungo subito dopo il più caratteristico degli arpeggi della premiata ditta Wartell/Franklin (presente “Memory’s Garden”, per esempio?). In ogni caso i Nostri non smarriscono la retta via, come testimoniano la valida “Sink Or Swim” forte di un inaspettato finale da brivido e la più classicamente doom “One Life”, nella quale Thomas viene affiancato da coretti melodico/ossessivi tipici dei gruppi space rock dei Seventies. Senz’altro piacevole, anche perché mai del tutto banale, la ballata “Have I Told You”, anche se il vero spirito dei Trouble viene fuori solo con la successiva “Hunters Of Doom”, pezzo graffiante già presentato dal vivo durante la parentesi con Kory Clarke che rientra sicuramente tra gli highlight di questo lavoro. Più rotonda e basata su un ritornello accattivante e un po’ ruffiano, “Glass Of Lies”, brano che fa da ponte, ad un altro pezzo da novanta dell’album: “Butterfly”. Magnetico il riff di chitarra portante uscito dall’inventiva di Wartell, maestoso nel suo incedere circolare. Coinvolgente anche la successiva “Sucker”, anche se la sensazione è che sia stata scritta appositamente per essere cantata dall’ugola sguaiata di Clarke. L’ottimo Kyle Thomas comunque non si fa cogliere impreparato e finisce per cavarsela discretamente. L’album poi volge al termine con l’oscura e azzeccata “The Greying Chill Of Autumn” e la dura “Your Reflection” che pare quasi scritta con l’intento di fondere gli amplificatori da quanto insiste sulle note più basse e magmatiche.

In conclusione “The Distortion Field” ci riconsegna una band ben lungi dall’essere defunta dal punto di vista compositivo. Un lavoro molto vario (qualità rara in questo nuovo millennio) che ha forse come unico difetto di durare un po’ più del dovuto. Almeno un paio di tracce potevano essere sfrondate senza troppi rimpianti. Colpisce poi la prestazione di Kyle Thomas, la sua maturità artistica e la sua gran bella voce, degna dei tempi migliori. È senza dubbio uno dei pochi cantanti in grado di non far rimpiangere più di tanto Wagner. Infine va sottolineata l’ottima prova dei due inossidabili chitarristi, l’abnegazione con cui continuano a portare avanti il progetto Trouble e non ultima la classe che continuano a dimostrare  di possedere sebbene l’ispirazione non sia costantemente quella di un tempo.

Orso “Orso80” Comellini

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