Recensione: The Genesis Of The Prophecy

Di Stefano Ricetti - 8 Aprile 2009 - 0:00
The Genesis Of The Prophecy
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Anno: 2009
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73

Arthur Falcone rappresenta una delle colonne chitarristiche dell’Italia metallara, onorificenza guadagnata sul campo – ha diviso il palco con Deep Purple, Vinnie Moore, John Lawton Band (Uriah Heep) – e suggellata da alcuna stampa di settore di stanza in Germania, Giappone e Stati Uniti. La sua lunga carriera inizia ai tempi della Nwoihm, precisamente con le Leghe Metalliche,  per poi transitare nei Devil’s Claws, seguiti dagli Halloween di Ronnie Angel, fino a Foxy Lady e La Rox, quelli con Morby alla voce. Da un po’ di anni a questa parte il Nostro insegna chitarra in quel di Trieste e fra gli allievi del passato vanta tale Luca Turilli dei Rhapsody Of Fire.

The Genesis Of The Prophecy prosegue undici anni dopo il cammino solista di Arthur, cominciato nel 1998 con l’album Stargazer (Virtuoso Records). I musicisti special guest inglobati in questa nuova avventura splendono di luce propria, essendo personaggi già affermati all’interno del music-biz: al microfono si alternano Goran Edman (Yngwie Malmsteen, Madison, John Norum, Brazen Abbot, Glory, etc) e Titta Tani (DGM, Daemonia, etc), poi Manuel Staropoli (Rhapsody Of Fire) al flauto e Mistheria (Bruce Dickinson band, Rob Rock e George Bellas) alle tastiere. La line-up ufficiale, oltre a Falcone all’ascia, prevede Piero Pattay alla voce, Denis Baselli al basso, Giovanni Angiolin alla batteria e Stefano Alessandrini alle keyboard.

Dopo l’intro strumentale di default si parte fra cascate di riff intrecciati con tastiere ben presenti all’interno di Free Souls, brano con Mr. Titta Tani al microfono e poi via di Malmsteen fino al termine. La colonna portante del disco si rifà a stilemi neoclassici sempre e comunque legati all’Hard Rock melodico come nella successiva The Great Prophecy mentre in Nothing More For Me è l’anima dei Dokken dei bei tempi d’oro a impossessarsi di Arthur e soci, nell’occasione con un singer d’eccezione come Goran Edman. The Hidden Self segna l’entrata, dietro al microfono, di Piero Pattay e la velocità si fa sostenuta in A Stranger In My Dreams, un pezzo dall’inflessione Stratovarius che si stampa in testa per via del coro. Grandioso l’intro di Sunset, grazie al tocco magico di Manuel Staropoli al flauto così come il prosieguo della traccia: una ballad suadente e mai invadente, aristocratica come il tocco di Mr. Falcone. Per chi scrive l’highlight del disco.

Don’t Fade Away segna il ritorno della cattiveria metallica nella sei corde, mai così vicina per costrutto e feeling a George Lynch. Seguono trame a metà fra il buon Don e i Whitesnake più “americaneggianti”, quelli dal grande hook garantito. In mezzo a tre magnetici strumentali, compresa la bonus track per la versione europea del disco, trova spazio Rise Beyond Pain, episodio che scomoda i Black Sabbath era Tony Martin, per via dell’enfasi epica sprigionata a profusione.                

The Genesis Of The Prophecy si sviluppa su un Booklet di sedici pagine curato come da tradizione Heart Of Steel Records, possiede una produzione degna e garantisce virtuosismi di varia foggia e natura da parte dei musicisti coinvolti. Va riconosciuto che Falcone e i suoi Stargazer sono riusciti – tranne in qualche occasione dove l’ego ha avuto la meglio -, a canalizzare la padronanza degli strumenti al servizio dei pezzi e non viceversa. Quello che però troppo spesso manca a questo disco è la sana killing attitude, peculiarità che dovrebbe sempre e comunque risiedere in un disco di musica dura.   

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

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Tracklist:
1 The Elf’s Castle
2 Free Souls
3 The Great Prophecy
4 Nothing More For Me
5 The Hidden Self
6 A Stranger In My Dreams
7 Sunset
8 Don’t Fade Away
9 Thunderbolt
10 Rise Beyond Pain
11 The Second Eclipse
12 Virtual Lake (bonus track)

Line-up:
Arthur Falcone – All Guitars
Piero Pattay – Vocals
Denis Baselli – Bass
Giovanni Angiolin – Drums
Stefano Alessandrini – Keyboards
        

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