Recensione: The Harvest

Di Alessandro Marrone - 16 Settembre 2019 - 8:00
The Harvest
Band: Endseeker
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2019
Nazione:
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62

Non fatevi trarre in inganno dall’artwork del secondo album dei tedeschi Endseeker, il disco che stiamo osservando non ha nulla a che fare con il black metal. Parliamo sempre di metal estremo, ma di un ramo di death metal melodico, con numerose influenze che vanno a pescare dalla scena scandinava – Entombed su di tutti. E’ sempre bello approcciare qualcosa di nuovo con le idee confuse, proprio perché l’ascolto sarà l’arbitro ideale al fine di capire se realmente ciò che abbiamo di fronte a noi sia valido oppure no, cosa che per dovere di cronaca si riassume sempre ad una visione soggettiva dell’opera musicale. The Harvest è il titolo del secondo full lenght dei nostri, giunto a due anni di distanza dal precedente Flesh Hammer Prophecy e lo fa con la compattezza di un quintetto adesso sorretto da un nome del calibro della Metal Blade Records.

 

Lo sforzo discografico si articola attraverso dieci tracce (la bonus track è una cover) che soffrono quello che a mio avviso sembra essere un ordine della tracklist approssimativo, con i due brani più veloci e frenetici in apertura (Parasite e Pulse), mentre le vere impronte digitali di The Harvest sono quelle che fanno capolino con Spiritual Euphoria, il brano che probabilmente riesce a trasmettere maggiormente il messaggio che la band vuole incidere su disco. Cure e – in maniera meglio riuscita – Whores Of War si sviluppano invece attraverso una spina dorsale più ragionata, eppure mancano ancora di quella scintilla che farebbe dondolare la testa per il consenso. Il problema è che siamo praticamente arrivati a metà disco e dove mi trovo ad apprezzare alcuni riffing convincenti (Immortalized), patisco il poco carattere che la linea vocale imprime sui brani, sovrastando anche uno sforzo strumentale di tutto rispetto come nel caso di Vicious Devourer. La stessa title-track stenta a convincere e se per un attimo sembra tirare fuori dal cilindro qualcosa di particolare, la convinzione di saper troppo di già sentito (Entombed) fa capolino prima di arrivare al secondo minuto. L’album si chiude con Symphony Of Destruction, cover dei Megadeth, nonché uno dei brani più iconici del thrash metal. La struttura della canzone non viene stravolta e anzi il sound sembra anche prestarsi piuttosto bene alla interpretazione del quintetto tedesco, che però finisce per perdere il groove per strada e calare il sipario con l’amaro in bocca.

Non mi sono alzato con il piede sbagliato e non sono certo qui a vendicare un artwork che lasciava presagire ben altre atmosfere, ma il death metal degli Endseeker sarebbe potuto essere molto di più. Il disco in questione non è da buttar via, ma reputo che possa essere realmente apprezzato soltanto da chi non voglia lasciarsi sfuggire nulla di vicino a questo tipo di sonorità. Dove la sezione strumentale dimostra di cavarsela, è la prestazione vocale di Lenny Osterhus che delude per un’ispirazione che lo trattiene come in balia delle sabbie mobili. Che lo si voglia vedere come un prodotto latente di identità, oppure come un disco che in realtà sarebbe potuto essere ben più compatto di quanto invece finisce per essere, per un buon 80% di chi lo ascolterà termina nel solito tavolo di dibattito che vede pareri soggettivi scontrarsi con dati di fatto oggettivi e al di sopra delle parti, ma è indubbio che se non state facendo i salti di gioia per il vostro ultimo acquisto, The Harvest finirà in quel dimenticatoio senza ritorno, scivolando via come se non fosse mai passato da qui. Peccato.

 

 

  

Brani chiave: Spiritual Euphoria / Epitome Of Decadence

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