Recensione: The Holographic Principle

Di Luca Montini - 3 Ottobre 2016 - 17:00
The Holographic Principle
Band: Epica
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2016
Nazione:
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80

– Non cercare di piegare il cucchiaio. È impossibile. Cerca invece di fare l’unica cosa saggia: giungere alla verità.
– Quale verità?
– Che il cucchiaio non esiste.
– Il cucchiaio non esiste?
– Allora ti accorgerai che non è il cucchiaio a piegarsi, ma sei tu stesso!
The Matrix
 

Gli olandesi Epica contro la matrice, in un conflitto corale tra realtà e rappresentazione. Nel nuovo mondo tra fisica e filosofia, tra arte, musica e poesia, tra power, symphonic e death metal, tutto è ologramma: termine composto dal prefisso olo- (dal greco ὅλος, tutto) e -gramma (dal geco γράϕω, scrivere). Un concept basato su una teoria fisica e sulle sue possibili implicazioni teoretiche, esattamente come accadeva in “The Quantum Enigma” (2014), vero termine di paragone nei confronti del quale si staglia il nuovo “The Holographic Principle”. Tutto, almeno all’apparenza, è rimasto immutato da allora. Un suond sinfonico decisamente bombastico e magniloquente, complesso e sfaccettato, fatto di cori imperiosi, orchestrazioni raffinate ed una cura particolare ai testi ed ai messaggi da essi vincolati. Eppure, oltrepassato il velo di Maya, è possibile apprezzare il lavoro di Simone Simons, Mark Jansen (intervistato per l’occasione) e compagni nel cesellare e perfezionare ulteriormente il suono: tutta l’orchestra è registrata dal vivo, niente suoni campionati; una sezione di ottoni che conferisce maestosità al suound, strumenti etnici, una produzione che tende a valorizzare in maniera uniforme le composizioni (talvolta sacrificando anche il cantato di Simone), melodie ancora più leggere e soavi che s’infrangono contro il muro di chitarre, il riffing marcato ed il growl ancora pià estremo di Mark. Al processo songwriting di The Holographic Principle ha partecipato l’intera band, il disco è prodotto dal solito Joost van den Broek assieme a Mark Jansen; il missaggio è  opera di Jacob Hansen.

Il concept è introdotto da “Eidola”, dal greco “immagini”, concetto democriteo che postulò l’esistenza di atomi che vengono a contatto con il nostro corpo, realizzando una rappresentazione del mondo subordinata alla conoscenza intellettuale. Oggi, ventiquattro secoli dopo, chiamiamo “quanti” quelle particelle indivisibili, come i fotoni e gli elettroni. Venendo alla musica, l’opener orchestrale realizza un climax ascendente, attraverso gli ottoni, i cori in latino ed una voce bianca lontana e riverberata. Alle percussioni in chiusura fa immediatamente seguito l’attacco elettrico di “Edge of the Blade”, secondo singolo estratto dall’album con tanto di videoclip. Un pezzo facile ed adatto alle folle, in cui possiamo agevolmente scorgere il ruolo preminente delle chitarre ritmiche, il sempre piacevolissimo cantato della sempre stupenda Simone Simons contrapposto al grunt di Mark Jansen, ed il pesante uso cori, in un brano sull’accettazione di sé e della propria perfetta imperfezione.
Ispirato al film “The Matrix” (1999) la terza traccia “A Phantasmic Parade”, di nuovo con il ritornello corale, la presenza imponente di tastiere ed arrangiamenti orchestrali e le ritmiche serrate come il blast beat che prelude l’attacco di Mark a tre quarti. Pianoforte ed archi in apertura per il primo singolo del platter: arrivano i robot quantistici di “Universal Death Squad”, in un mondo distopico ed opprimente in cui le creature dell’uomo si ribellano uccidendo la stessa razza che li ha generati. 
Dal futuro futuribile al triste presente di “Divide and Conquer”, brano ispirato alle reali situazioni di conflitto in giro per il mondo, con un botta e risposta delle due voci nella strofa ed anche qui un potente blast beat a tre quarti pensato appositamente per consentire al pubblico momenti di sano headbanging sotto il palco.
A “Beyond the Matrix” il compito di arrivare direttamente all’ascoltatore con un ritornello in inglese già anticipato in apertura e da una linea nella strofa di Simone molto delicata, che raggiunge il massimo di dolcezza e cuoricini intorno ai quattro minuti. Ci pensa poi Mark all’improvviso a smontare la poiesis. 
Torniamo nuovamente al cinema ed ai suoi effetti speciali con “Once Upon a Nightmare”, un brano intenso ed emozionante che sembra tratto da una soundtrack con le sue struggenti orchestrazioni, ad opera del tastierista Coen Janssen. Anche qui Simone preferisce mantenere un registro più moderno senza spingere troppo verso il cantato operistico, relegato in questo brano, come in generale nell’intero album, esclusivamente alle parti corali.
Potenti e decise le ritmiche anche in “The Cosmic Algorithm”, anche se il ritornello alleggerisce d’improvviso la zavorra svolazzando in cielo come un aquilone su un mare agitato. Il ritmo resta incalzante anche nella successiva “Ascension – Dream State Armageddon”; indubbiamente il brano più oscuro ed opprimente del platter, con influenze che sfociano nel black e nel death sinfonico.
Melodie mediorientali ed etniche ci invitano a danzare nell’uragano di “Dancing in a Hurricane”, un pezzo tratto di nuovo dalle situazioni di conflitto bellico, nel potente abbraccio di mamma Simone verso le piccole ed incolpevoli vittime di bombardamenti e stragi, in cui la band ascende per denunciare e condannare l’escalation di violenza nei confronti di tanti innocenti come raggi del sole che s’infrangono contro l’uragano.
Gli Epica ci prendono gusto e confezionano un altro brano diretto ed incisivo, “Tear Down Your Walls” è di nuovo una carica violenta contro ogni barriera, brano discreto che precede la maestosa titletrack: “The Holographic Principle – A Profund Understanding of Reality” (con un titolo così non puoi durare meno di dieci minuti), summa compositiva di Mark Jansen che poggia su una lunghissima intro corale ed orchestrale e ci mostra come possano coesistere in un’unica trama un coacervo di generi che vanno dal progressive al metal più duro a quello sinfonico, componendo e suonando con la grande raffinatezza e professionalità ad oggi acquisite dalla band olandese. 

The Holographic Principle” è la naturale evoluzione del suo diretto predecessore, dal quale attinge a piene mani gran parte degli elementi riuscendo a migliorarli sotto molti aspetti. La grande esperienza profusa in questo lavoro è il suo punto di forza, mentre il punto di debolezza complementare è l’assenza di novità di rilievo rispetto a quanto già ascoltato negli anni passati: se non amate il metallo più barocco e sfaccettato pieno di cori e sinfonie, se cercate un album semplice ed immediato, se siete fan della prima ora e non apprezzate il nuovo corso degli Epica, non sarà certo questo disco a farvi cambiare idea. Viene qui inoltre a mancare l’effetto-sorpresa di “The Quantum Enigma”, così come si fa sentire l’assenza di hit significative: laddove infatti il disco precedente era costituito da alcuni alti e bassi, qui l’ascolto è più omogeneo e pertanto privo di picchi, da ascoltare dall’inizio alla fine come un unico, grande viaggio tra realtà e illusione. Questo è il mondo immaginifico che gli Epica ci propongono in “The Holographic Principle”, un monumento che si erge come l’ennesimo tributo al multiverso del metal sinfonico. 
 

Luca “Montsteen” Montini

 

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