Recensione: The Middle Of Nowhere

Di Mauro Gelsomini - 30 Marzo 2005 - 0:00
The Middle Of Nowhere
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Anno: 2005
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Quasi a voler sopperire al ritardo del prossimo studio album del suo ex gruppo, i Savatage, Zak Stevens approfitta del silenzio di Jon Oliva e compagni per dare alle stampe il secondo capitolo del suo progetto Circle II Circle, avviato nel 2003 con il debut Watching In Silence.

Il nuovo album prosegue il discorso intrapreso senza stravolgimenti, rinvigorendo i legittimi dubbi di molti riguardo la dipartita dai Savatage, che se da una parte può essere giustificata da un’inversione di tendenza verso sonorità più pesanti e compatte, dall’altra lascia ancora molte perplessità sul prematuro ripensamento di Zak a tornare sui suoi passi – ricorderete che aveva deciso di “smettere” per dedicarsi alla famiglia – nonché sul costante apporto in fase di composizione proprio di Oliva e Caffery.
Probabilmente, però, anche dal punto di vista musicale in casa Savatage la vita non doveva essere tutta rose e fiori, perché – vuoi pure la sua timbrica e l’inclinazione tipicamente thrashy – Zak, come dicevo, si trova più a suo agio con riff pesanti, cadenzati ma energici, senza per questo dover rinunciare al lato melodico, parimenti curato fin dall’inizio. Tuttavia proprio la sua voce, che ai Savatage deve veramente tanto dal lato tecnico, si rende protagonista delle (poche) sbavature presenti, e, guardacaso, nei momenti più melodici e intimisti dell’album, ovvero nelle due ballad conclusive, la titletrack e “Lost”. Più curate risultano invece le parti strumentali, ed è ottimo il guitarwork di Andrew Lee e Evan Christopher, citerei come esempio su tutti il brano “Hollow Man”, sesto del lotto, prima del quale non si nota alcuna deviazione dallo U.S. power che fa da standard. Fortunatamente arrivano anche le influenze Savatage: sulla parte ritmica di “Psycho Motor”, prima, e sui cori di “Faces In The Dark”, miglior pezzo dell’album, poi.

Il tentativo di tagliare il cordone ombelicale c’è ed è innegabile: i Circle II Circle stanno tentando di diventare una band a se stante, con un suo sound ben delineato, e non un progetto di Zak Stevens, tant’è vero che Zak ha coinvolto nella composizione anche gli altri membri (oltre ai già citati Christopher e Lee, troverete i “novelli” Mitch Stewart e Tom Drennan, rispettivamente al basso e alla batteria, e il veterano Oliver Palotai, già con Doro, Kamelot e Uli Roth). Ovviamente la classe non è acqua, e non mi stupirei, a questo punto, di assistere ad una delle reunion più ovvie degli ultimi tempi.

Tracklist:

  1. In This Life
  2. All That Remains
  3. Open Season
  4. Holding On
  5. Cynical Ride
  6. Hollow Man
  7. Psycho Motor
  8. Faces In The dark
  9. The Middle of Nowhere
  10. Lost

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