Recensione: The Scourge

Di Giuseppe Casafina - 24 Luglio 2016 - 15:27
The Scourge
Band: Wolfpack 44
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2016
Nazione:
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85

Domandona da un milione di dollari: se il Male ha infinite forme di espressione, perché limitarne appunto la quantità delle forme stesse?

Senza nulla togliere alla nostra amata vecchia scuola, perché fino ad ora il livello assoluto di malvagità esprimibile in musica si é ridotto a sterili preconcetti mentali circa produzioni di bassa qualità, atteggiamenti da prima elementare del black metal e chissà cosa altro?

Non credete che sia ora di rompere le barriere, per fare in modo che tale forza si esprima al suo meglio?

Quella dei Wolfpack 44 finora era stata solo una scommessa, una scommessa che sembrava non aver trovato vittoria, escludendo per ora la qualità strettamente musicale: il disco non arrivava, infiniti ritardi e problematiche di ogni tipo ne hanno posticipato l’uscita fino a pochi mesi fa, nel giorno in cui questo maledetto (perché definirlo benedetto sarebbe un insulto) “The Scourge” ha finalmente visto la luce.

Inizialmente autoprodotto, rilasciato unicamente come digital release ed addirittura in free download (per un periodo di tempo limitato) da parte della band stessa, tanta era l’eccitazione di essere finalmente riusciti a portare a termine il progetto, poi prodotto in formato fisico su Compact Disc in poche copie da parte dell’intrepida Deadlight Entertainment.

Ma fermiamoci alla storia di questo lungo e travagliato parto demoniaco e parliamo della musica in esso contenuta: un indefinibile marasma di satanica perfidia.

 

Il tutto in senso positivo ovviamente, perché “The Scourge” rifiuta etichette e categorizzazioni, così come schemi facili e forme-canzone collaudate, per buttare il tutto nel marasma volutamente confusionario di un death/black industrializzato ed elettronico, un caos meccanizzato dove alla matrice vi é Lui, il Demonio.

Ascoltare questo disco equivale a gettarsi in un vortice assoluto di malignità senza limiti, dove il frastuono imperante delle macchine accompagna con fredda ed asettica precisione chitarre intende a disegnare riff taglienti come le unghie di Satanasso, mentre l’odio vomitato dal singer Xes (già nei Kult Ov Azazel, garanzia di malignità) risuona come il richiamo alla conquista del Paradiso in un era pesantemente digitale ed ormai preda delle sue stesse tecnologie.

Il Male qui risuona imponente, e dopo una introduzione cerimoniale al suono di sirene, campionamenti distorti allo scopo di preannunciare un imminente Armageddon sonoro, lentamente comincia ad espandersi il crescendo musicale vero e proprio, percuotendo l’ascoltatore al ritmo di thrash riffs, segno che l’iniziale ‘The Black March’ sta per avere inizio. Da lì in poi tutto ciò che é passato sembrerà avere meno senso, perché come già detto i nostri Cerimonieri del Maligno suonano in maniera indefinibile: che sia black, thrash, death oppure industrial metal non ha importanza, qui il collante di tutto é il Male.

Un Male che si percepisce immediatamente, con un’aura pesante ed oscura, circondata da fumi di zolfo provenienti da chissà qualche industria del terrore: ed ecco che i Nostri, come se fossero degli Strapping Young Lad assai più elettronici e devoti a Satana, rilasciano un inno alla malvagità dietro l’altro, senza cali di sorta fino all’ultimo, cibernetico respiro.

Il songrwriting sulle prime potrà apparire confuso, ma il Nuovo sulle prime, si sa, appare sempre disorientante perché non sappiamo cosa aspettarci….ed ecco che i Wolfpack, come degli stranieri in terra di nessuno, creano un mix apocalittico di arpeggi ed atmosfere epiche e deprimenti, campionamenti apparentemente senza senso e cambi di tempo spiazzanti: il bello sta nel saper cogliere questi segnali, ascoltare il disco più di una volta, ed allora sì che concorderete che questo disco non si presta in alcun modo ad etichette facili con cui essere descritto, ma solo ad infiniti modi per poter essere apprezzato.

Semplicemente meraviglioso, per uno dei dischi più sorprendenti dell’anno, un capolavoro (anzi Caprolavoro) che a mio parer non é stato realmente compreso da molta della stampa specializzata in tutta onestà: qui vi é davvero qualcosa di sinistro, che colpisce in misura maggiore rispetto ad un classico disco death/black, e che ti punge l’animo senza che tu te ne renda conto, ma lasciandoti comunque una certa patina di inquietudine addosso…

 

La senti ora, la classe delle nuove leve del Male? Loro sono attorno a te, intuisci la loro onnipresenza, ma fanno il possibile per spaventarti lentamente e silenziosamente, senza che tu te ne renda conto.

Caos ed Incubo: e di sicuro quest’anno il Cornuto sarà doppiamente felice, dato che ha finalmente ottenuto il suo primo, degno tributo in salsa meccanizzata.

 

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