Recensione: The White

Di Pier Tomasinsig - 13 Aprile 2008 - 0:00
The White
Band: Agalloch
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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83

A due anni di distanza dallo splendido Ashes against the grain, gli Agalloch (a mio modesto avviso una delle realtà più interessanti dell’attuale panorama musicale) tornano sul mercato con un EP, The white, che raccoglie pezzi composti tra il 2004 e il 2007.

Ciò che il combo statunitense aveva proposto nei precedenti full-length era un intenso ed efficacissimo connubio tra dark, folk, ambient, post rock, doom e sporadiche reminiscenze black, queste ultime per lo più limitate all’uso di screaming vocals. È evidente che siamo di fronte a musicisti a tutto tondo, che non temono di sperimentare e travalicare le barriere tra generi musicali diversi.

Questa attitudine sperimentale è palese anche in questo The white, ove il folk-dark proposto dagli Agalloch vede fortemente accentuata la propria componente ambient-atmosferica, a scapito della componente metal, che risulta completamente obliterata. Ma le differenze rispetto alle precedenti release non si esauriscono qui. Le percussioni sono quasi del tutto assenti, e nei pochi frangenti in cui ancora compaiono, assumono connotati squisitamente tribali. Sono completamente scomparse le screaming vocal; anzi, le tracce contenute in questo EP sono per la maggior parte strumentali: le rare parti vocali si presentano ora come cori in sottofondo (così in Hollow stone e Pantheist), ora come sample (Sowilo rune e Summerisle reprise), ora nel cantato recitato di Birch white. Le chitarre elettriche sono poco presenti, mentre il compito di disegnare atmosfere eteree ed evocative è affidato quasi integralmente alle chitarre acustiche, alle tastiere e alle parti di piano.

L’EP si apre con The isle of summer, sorta di intro dove un iniziale sample di voci infantili lascia il posto ad un arpeggio lento, triste e delicato che si spegne in un breve inserto noise. Si passa, senza soluzione di continuità, alla splendida ed interamente strumentale Birch black, dove è possibile avvertire chiaramente gli echi degli Agalloch di The mantle. La successiva Hollow stone è forse la traccia più particolare e spiazzante dell’intero EP: una sorta di esperimento ambient/new-age, completamente incentrata sull’uso di synths che creano sonorità fredde e vagamente spaziali e cori onirici di grande atmosfera. In Pantheist si riaffacciano gli Agalloch che meglio conosciamo: la song si apre con suoni di acqua che scorre, e si sviluppa su coordinate prevalentemente dark-folk, in un incedere cadenzato e molto evocativo, soprattutto nella seconda parte, dove alle chitarre acustiche e alle percussioni si sovrappongono i cori sognanti e malinconici di John Haughm. La successiva Birch white, a mio avviso uno degli esempi più eclatanti della capacità espressiva di questa band, si incentra su un riff folk acustico molto vivace e solare, con Haughm che recita i versi del poeta inglese Arthur Seymour John Tessimond:

« The birch tree in winter
Leaning over the secret pool
Is Narcissus in love
With the slight white branches,
The slim trunk,
In the dark glass;
But,
Spring coming on,
Is afraid,
And scarfs the white limbs
In green. »

Si prosegue con Sowilo rune -una delle tracce migliori-, intrisa di suggestioni quasi Pinkfloydiane (a tratti mi ha riportato alla mente alcune cose dei migliori Anathema) e con la conclusiva Summerisle reprise, che chiude l’EP su dolci note di pianoforte. Non ha senso però consigliare una song invece che un’altra: questa è un’opera che va apprezzata nella sua interezza.

Il risultato finale è una musica che è al contempo rilassante eppure coinvolgente, emotivamente intensa e sempre incredibilmente evocativa. Pochi gruppi come gli Agalloch hanno la capacità di trasportare l’ascoltatore in viaggi mentali intrisi di malinconia, introspezione e spiritualità, tratteggiando suggestioni naturalistiche e sensazioni nostalgiche con una facilità e un’espressività disarmanti.

Eppure, non riesco a togliermi dalla mente l’impressione che manchi qualcosa. Ritengo infatti che gli Agalloch raggiungano il loro apice espressivo quando sfruttano tutti gli elementi che compongono il loro tipico sound. In particolare la componente metal -qui del tutto assente- che, lungi dal rappresentare un limite per la loro musica, è anzi un elemento di ulteriore ricchezza, che permette loro di comunicare una gamma di sensazioni ancora più ampia. Un altro limite di questo EP è l’assenza di parti cantate. Si pensi ad una Not unlike the waves, su Ashes against the grain: sono proprio le bellissime vocals di Haughm – comunque utilizzate dagli Agalloch con parsimonia in tutti i loro album – che rendono possibile creare quel trasporto emotivo che in quest’ultimo lavoro non si realizza, a mio avviso, con la stessa pienezza, rendendolo forse un quid minus.

Sia chiaro, non è in discussione la qualità eccellente dei trenta minuti di musica contenuti in questo EP (incomprensibilmente pubblicato in versione limitata a sole 2000 copie). È però opportuno quantomeno segnalare che in The white gli Agalloch si presentano in una veste che esprime solo una parte – di per sé comunque impressionante – della propria reale dimensione musicale. Da parte mia preferisco considerare questo The white come un riuscitissimo esperimento, restando in trepida attesa del vero successore di Ashes…

TRACKLIST:

– The Isle Of Summer
– Birch Black
– Hollow Stone
– Pantheist
– Birch White
– Sowilo Rune
– Summerisle Reprise

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