Recensione: The Witchhunt

Di Vittorio Sabelli - 27 Settembre 2013 - 0:10
The Witchhunt
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2013
Nazione:
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80

Da Wikipedia:

«Il termine underground definisce un ampio insieme di pratiche e d’identità accomunate dall’intento di porsi in antitesi e/o in alternativa alla cultura ufficiale della società di massa. Nel mondo anglosassone, il termine sta a indicare una “rete sotterranea di resistenza” e venne utilizzato nel XIX secolo con le Underground Railroads, reti clandestine di case sicure per affrancare gli schiavi in fuga dal Sud degli Stati Uniti. Analogamente, si definì nello stesso modo il network che facilitava la fuga in Canada dei giovani statunitensi che rifiutavano il servizio di leva durante la guerra del Vietnam. Il termine venne anche utilizzato per indicare i movimenti di resistenza europei durante la seconda guerra mondiale»

Partiamo da quest’ultima affermazione per entrare in confidenza con il pensiero che domina la mente di Paul Speckmann da quasi trent’anni, ossia il rifiuto di ogni sorta di guerra, di globalizzazione e di sfruttamento da parte dei potenti; motivi che l’hanno indotto a lasciare l’America per stabilizzarsi in Repubblica Ceca da inizio secolo. E proprio questo passaggio è stato fondamentale per proseguire il cammino intrapreso dai suoi Master nella fitta rete sotterranea che da sempre permea il death metal; quel death metal che non conosce, anzi ignora trend e tendenze, e permette di sopravvivere grazie alla coerenza e alla sincerità espresse nell’arco di un’intera vita. 

E la nascita del genere non ha avuto mezze misure, perché sin dai primordi act come Possessed, Death, Morbid Angel hanno impostato il gioco su un impatto diretto che non lasciava scampo, e, se dopo tre decadi siamo ancora qui a godere di questa cultura è per merito del pensiero schietto e mai accondiscendente, né da un punto di vista musicale, nè tantomeno da quello dei testi espressi. Si potrebbe spiegare tutto nella frase d’apertura di A Room With View (dall’album “Slaves To Society” del 2005), a mio avviso il motto di Speckmann: «I Hate Everyone And I Hate Everything», odiare tutti allo stesso modo! La gente è piena di pregiudizi e ci sono bastardi in ogni paese del mondo, indipendentemente dalla razza e dal colore della pelle, ecco tutto! E quest’odio e questa voglia di dirlo al mondo si riversa nello stile musicale dei Master e nel ringhio brutale di Speckmann, principale segno distintivo, che insieme a Chris Reifert, Martin Van Drunen, John Tardy e ad altri ha reso possibile il fare arrivare fin qui un genere altresì scomparso o dimenticato. E da qui la scelta di uscire per la nuovissima etichetta tedesca F.D.A. Rekotz, intenta a rievocare la old-school, inserendoli come band di punta al fianco di Wound, Entrails e Revel In Flesh, tra gli altri.

Ma quel che rende inconfondibile il marchio Master è la musica spietatamente nuda e cruda, anello di congiunzione per trasmettere il pensiero politico e anticonformista a tutti i seguaci. I testi diventano il tramite per sfogare la rabbia contro governi, guerre e multinazionali, e allo stesso tempo tengono viva la speranza dentro e fuori l’underground per chi ha voglia di lottare e pogare. Rispetto agli ultimi dischi il discorso è più vario e i brani scorrono in maniera fluida, complici le strutture non particolarmente complesse, ma permeate dai riff taglienti di Alex con la sua chitarra affilatissima, capace di spostare il tiro in un batter d’occhio; mentre la tendenza ai tempi veloci ma mai statici è dovuta alle ottime soluzioni del drumming di Zden?k, l’uomo ‘giusto’ che permette a Speckmann di esser micidiale sia in studio che soprattutto in sede live.

La title-track e opener “Witchhunt” è esplicativa, e bastano poche strofe per entrarci in simbiosi:

«They tried to construe their list of rules and lies/The People revolted there was no surprise/The witchhunt determined Aleš was a spy/They cut his balls and hung him out to dry /Silence, contained, violence, restrained//It’s time to overthrow the USA/Remove the people from the war and pain/Still searching for that free society/Where all can live their life in liberty»

I lunghi accordi iniziali di “Waiting To Die” scatenano un mid-tempo furioso, il cui ritornello «The final protocol, will be, the death of us all» è l’apice martellante di tutto il brano. I richiami allo stile thrasheggiante dei Sodom o ai primi Possessed sono meno evidenti che in passato, e meno abusati a favore di nuovi elementi, poco usati in precedenza dai Nostri. Richiami di tipo svedese affiorano nell’intro melodico di “Remove The Clowns”, e nel tema iniziale di “Manipulated To Exterminate”, che oltre a essere il brano più lungo è quello più interessante strutturalmente con una sezione dedicata al basso di Speckmann, di cui si parla ben poco, ma che tiene sempre sul piede di guerra il tiro killer della band.

Al di là di tutto i brani di “The Witchhunt” rispondono alla ‘causa’ death metal, sparati dritti in faccia senza cali di tensione; un ottimo proseguo di “The New Elite” dello scorso anno, a dimostrare la prolificità del trio. Proprio in questo andrei a ricercare i nuovi stimoli compositivi e creativi di Speckmann, visto che fino al 2000 i Master erano riusciti a stento ad avere la stessa line-up per due uscite consecutive. Con la formazione “made in Czech” invece i tre sono in perfetta simbiosi musicale e spirituale, e il risultato è questo onesto dodicesimo capitolo della loro saga. 

 

Vittorio “versus” Sabelli

 

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