Recensione: The World That We Drive Through

Di Massimo Ecchili - 19 Giugno 2010 - 0:00
The World That We Drive Through
Band: The Tangent
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 2004
Nazione:
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87

Luci soffuse, un buon whiskey in mano, la mente sgombra da pensieri
distraenti.
E’ questo il modo migliore per assaporare la musica di classe dei The Tangent,
supergruppo nato dall’unione d’intenti di musicisti sopraffini appartenenti a
Flower Kings e Parallel or 90 Degrees.
Dopo una preparazione all’ascolto del genere, ci sono due opportunità: restare
fissi con la mente a quanto si sta ascoltando, tentando di cogliere il maggior
numero di sfumature possibili, o perdersi tra i pensieri generati dalle note che
volano nell’aria, cogliendone di quando in quando lo sbattere d’ali.
Come un buon vino da meditazione The World That We Drive Through richiede tempo
e necessita di predisposizione alla ricerca delle sfumature. Come un buon vino
da meditazione sa regalare gioie insperate e sempre nuove.
Dopo un debutto del calibro di The Music That Died Alone, accolto dalla critica
e dagli appassionati in modo entusiastico, non era semplicissimo bissare a
livello qualitativo l’esordio. Ma Tillison vive per scrivere e suonare grande
musica, e sembra avere il rubinetto dell’ispirazione costantemente aperto.
Le maggiori influenze della band arrivano dalla scena di Canterbury (in
particolare dai Soft Machine agli Hatfield And The North, passando per i Camel)
e dalla fusion. Quindi lunghe digressioni musicali e perfetto equilibrio tra gli
strumenti, ognuno dei quali finisce prima o dopo illuminato dall’occhio di bue,
ma non mette mai completamente in ombra quelli che accompagnano. Non si può
inoltre tralasciare una caratteristica mutuata da band come gli Yes: la cura
maniacale per il dettaglio.
Giusto per sgomberare il campo da ogni dubbio: non va ricercata nella proposta
musicale dei The Tangent l’originalità. Sarebbe folle pensare di trovare
originale una band che, nel nuovo millennio, immerge il proprio sound nella
tinozza del progressive rock degli anni ’70 e lo asciuga con l’aria calda della
fusion. Ciò che si può lecitamente chiedere a chi suona in questo modo è di
costruire un sound riconoscibile grazie ad una spiccata personalità, e, in
questo caso, si ottiene di rimando una risposta assolutamente positiva.
D’altronde è sufficientemente lecito pensare che Tillison, e come lui qualunque
altro artista che viva completamente immerso nella musica, non perda il sonno
per trovare il modo di essere considerato un “innovatore”; al limite lo può
perdere per trovare l’arrangiamento perfetto per le note che gli frullano in
testa.

Preso atto dell’assenza del leggendario David Jackson ai fiati e dell’ingresso
al suo posto dell’ottimo Theo Travis, è il momento di premere play.
The Winning Game risulta essere un pezzo ora carico di groove, ora più
riflessivo, con un Reingold che dispensa lezioni di basso per tutta la sua
durata: undici minuti abbondanti che filano via senza intoppi. Si può
tranquillamente affermare che, caratteristica costante nella produzione della
band, i pezzi, nonostante siano sempre di minutaggio elevato, non risultano mai
appesantiti o dilatati da fraseggi fuori luogo. La musica dei The Tangent gode
del pregio di risultare leggera nonostante partiture tutt’altro che semplici.
Skipping The Distance è decisamente più diretta e, se un protagonista dev’esserci,
si può assegnare il premio a Travis, che col suo flauto avvicina l’inizio del
brano alle cose più briose dei Jethro Tull, per colorire in seguito il pezzo con
un assolo d’atmosfera a centro brano, proseguito poi dal solo palleggiato tra la
chitarra di Stolt e la tastiera di Tillison.
In Photosynthesis è l’atmosfera a farla da padrona. Un piano jazz-style
introduce un cantato dolce che si muove lungo una linea vocale che sembra
un’onda in un mare calmo. L’impressione in questo caso è che forse il pezzo
avrebbe potuto essere qualcosa di più, e sembra che su di un impianto molto
buono sia mancata l’idea vincente. Poteva essere il sax, che avrebbe trovato
terreno fertile per mettersi in primo piano. Pazienza: ad ogni modo lo standard
qualitativo si mantiene su livelli eccellenti.
La title track prende il via con piano, chitarra e basso che creano la giusta
atmosfera per un cantato melodico e molto sentito; la lunga parte strumentale è
una notevole prova d’insieme e nel contempo una prestazione individuale
strabiliante, tanto che è impossibile seguire uno strumento senza essere rapiti
ad un certo momento da un altro. Doverosa, ad ogni modo, una menzione per Csörsz,
batterista dotato di classe e di grande gusto, sia quando deve accompagnare il
pezzo, sia quando lo arricchisce con soluzioni che mai lasciano indifferenti. E
sono altri minuti che volano.
Il finale della regular edition è affidato alla lunga A Gap In The Night, un
continuo saliscendi emotivo tra melodia e parti più inquietanti che vagamente
ricordano alcune cose dei King Crimson.
Tutto splendido, dalla costruzione del brano all’esecuzione. Sensazioni in
movimento e senso di libertà avvolgono l’ascoltatore avido di musica come una
coperta calda in una lunga e fredda notte di novembre.
Exponenzgesetz, bonus track contenuta nell’edizione limitata, consiste in un
quarto d’ora scarso di divagazioni sonore a metà tra ambient e psichedelia;
buona per i collezionisti, ma decisamente fuori contesto se ascoltata in coda
all’album.
Non bastasse il contenuto già di per sé ottimo di questo lavoro, c’è l’artwork
di Ed Unitsky, meraviglioso come sempre, ad impreziosire il tutto.

Meno rock e decisamente più sbilanciato verso un progressive melodico che
ricorda i Camel del periodo Mirage, The World That We Drive Through si discosta
dunque dal debut, conservando invero uno stile ben riconoscibile che non può che
fare la felicità degli assetati di sonorità seventies. Ma non bisogna temere:
non ci si ritrova tra le mani un disco che fa della nostalgia di quegli anni la
sua ragion d’essere.
The Tangent, entità nata come side project, riuscirà disco dopo disco a divenire
una bellissima creatura risplendente di luce propria, caratterizzata da un sound
fresco e da ispirazione costante. Questo secondo platter è un tassello
fondamentale nel percorso che ha portato un’idea a trasformarsi in piacevole ed
autonoma realtà.
Il whiskey bagna le labbra e brucia la gola; le luci sono ancora basse; le note
volano.
Buon ascolto.

Massimo Ecchili

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Tracklist:

01. The Winning Game 11:09
02. Skipping the Distance 8:55
03. Photosynthesis 7:39
04. The World We Drive Through 12:57
05. A Gap in the Night 18:22
06. Exponenzgesetz (limited edition bonus track) 14:28

Line-up:

Andy Tillison: keyboards, vocals
Roine Stolt: electric guitar, vocals
Theo Travis: saxophone, flute
Jonas Reingold: bass guitar
Zoltan Csörsz: drums
Sam Baine: keyboards, vocals
Guy Manning: acoustic guitar, vocals

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