Recensione: Theia

Di Stefano Santamaria - 21 Ottobre 2016 - 0:00
Theia
Band: Self-Hatred
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2016
Nazione:
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80

Quando si parla di doom, spesso si pensa, superficialmente, a un genere statico, legato a sviluppi dai tempi mastodontici e dagli schemi preconfezionati. Tutto questo perché ci si ferma a un ascolto superficiale e non si ha pazienza di voler scoprire, strato dopo strato, ciò che soggiace davvero al di sotto della coltre dei suoni.

Questo è il caso anche dei cechi Self-Hatred, progetto che approda alla propria prima fatica in studio. Il loro doom/death metal è ricco di ambientazioni sognanti, onirici fraseggi di un ipotetico dialogo con se stessi. Un’anima ferita, senza speranza ad accompagnarla, che incontra in un gesto inaspettato amore e fiducia. Un telo di iuta ricopre il nostro capo e le nostre stanche membra, sguardo rivolto alla nuda terra che d’improvviso incontra una sorgente d’acqua. Incrociamo così il nostro stesso sguardo. Ci chiediamo dove stessimo andando, e quale fosse la nostra vera natura, quasi non riconoscendoci. La familiarità, però, della tristezza ci riporta alla mente i passati dolori ma anche ciò per cui abbiamo lottato. Ed è questa eco, speranzosa, che s’incarna nelle voci femminili via via presenti nei brani.

‘Slither’ ne è un esempio, una preghiera che incontra memorie di natura norvegese, un passo vagamente progressive che s’interseca a un doom/death sempre più dimentico di gioie. Tali dimensioni, di luce e d’ombra, risaltano grazie a un contrasto inatteso, tanto importante per presenza, quanto sofisticato e raffinato per approcci. Alziamo lo sguardo al cielo, dopo un viaggio interiore durato una vita, e lasciamo libero lo spirito, vagando in uno spazio silente. Nessuna catena ci intrappola, nessuna ansia ci lega a paure. Così, lo scorrere dei brani, ci porta a una riva bagnata dal tepore di un sole autunnale. ‘Theia’ è quell’approdo in cui, dopo aver combattuto ed essere stati preda del mare dell’esistenza, riposiamo. Il viaggio è stata la vera gioia, non la meta, e di questo ringraziamo i Self-Hatred.

Cammino fatto di sfumature black metal, di solido doom e di suoni magistralmente prodotti. Sensibilità e competenza tecnica, ambient che come spuma marina ci risveglia da un sonno di pace, risacca che scandisce serenità. Il full-length, a conti fatti, risulta più dinamico di quanto ci si possa aspettare, pur rispettando il verbo di un filone difficile per definizione. Se saprete andare oltre queste scaglie così ruvide, troverete un rifugio ospitale, un abbraccio che pazientemente saprete accogliere.

Stefano “Thiess” Santamaria

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