Recensione: To Bathe From The Throat Of Cowardice

Di Gianluca Fontanesi - 15 Settembre 2019 - 14:46
To Bathe From The Throat Of Cowardice
Band: Vitriol (US)
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2019
Nazione:
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80

Bestiali. Non ci sono altri aggettivi per definire I Vitriol e non è nemmeno necessario trovarne. La band di Portland, dopo l’ep Pain Will Define Their Death uscito per la nostra Everlasting Spew Records, ottiene un prestigioso contratto con la Century Media per quella che a tutti gli effetti è la sua opera di debutto. To Bathe From The Throat Of Cowardice ha un ottimo artwork che rimanda ai fastosi anni ’90 del death e, nei suoi 44 minuti di durata, non fa prigionieri e stordisce totalmente l’ascoltatore. I quattro brani pubblicati nel 2017 (The Parting of a Neck, Victim, Violence, A Worthy Truth e Pain Will Define Their Death)  vengono qui tutti riregistrati e riproposti in maniera praticamente identica, scelta azzeccata, il tutto funzionava già ottimamente così com’era e non aveva bisogno di ulteriori orpelli o cambi strutturali. Vengono poi aggiunte altre 6 tracce inedite e il risultato è compiuto.

Come suonano i Vitriol? Come una scheggia impazzita, qualcosa di incontrollabile in preda a una furia cieca e in apparenza disorganica, un’entità nera e pulsante che come un tornado risucchia e spazza via qualsiasi cosa possa trovarsi sul suo cammino. Lasciate perdere tutte le virate onanistiche che hanno provato a rendere il death metal un palcoscenico per meri esecutori; fate un passo indietro e tornate a quando il genere era cattiveria, dissonanza e lacerazione dell’anima. I Vitriol sono velocissimi, potenti e soprattutto cattivi. Non è una band che arriva e dice: “Toh, guarda cosa so fare, anzi, prima mi contemplo da solo”; questi non guardano in faccia a niente e nessuno e il risultato è notevole.

Prendete le velocità raggiunte dagli Origin in Antithesis, togliete la componente siderale e rendete tutto più caustico, melmoso e palustre. I Vitriol sono questo, nulla più, nulla meno. Tutti gli strumenti sono spinti da prestazioni al limite e fare di più sarebbe umanamente impossibile. La sezione ritmica manda in psicanalisi anche il più ligio e decoroso dei metronomi e, ad ogni passaggio, ci si chiede se tutto ciò sia umano in primis e riproducibile poi dal vivo in maniera comprensibile. L’unico difetto della proposta dei Vitriol è appunto la velocità disumana che sporadicamente risulta caotica anche su disco, provocando sensazioni quasi cacofoniche nell’ascoltatore, che viene brutalizzato da ogni secondo suonato. Le chitarre di Kyle Rasmussen sono pazzesche e da alta scuola della dissonanza: l’uso del tremolo è feroce e disturbante, gli assoli sono sofferenza pura, le corde accoltellano l’anima e non lasciano scampo e si sente persino il basso. La voce è ovviamente in growl e anche qui non si dà spazio a speranza alcuna; si mantiene la stessa timbrica dall’inizio alla fine del disco e si rende la parola clean un cuginetto sfigato chiuso in un armadio.

Quello che hanno dato alle stampe i Vitriol è un disco death metal con tutti i crismi, un clamoroso biglietto da visita e una breve spiegazione su come ancora dovrebbe essere suonato il genere. To Bathe From The Throat Of Cowardice non è un prodotto per deboli di cuore, per chi cerca compromessi o per chi preferisce proposte più ibride; è death metal coi controcazzi e un mettere a posto le cose in un genere che un po’ devia, un po’ va avanti, un po’ torna indietro e non si è ancora capito bene che futuro potrebbe avere. Variazioni, brani lenti, momenti ambient, intermezzi acustici o oggettistica simile potete qui trovarli solo premendo stop; per alcuni potrebbe essere un difetto, per noi invece, che siamo brutte persone, è un pregio.

Ciancio alle bande, cioè, bando alle ciance, siete ancora qui? Se siete amanti della musica estrema con la e maiuscola dovreste essere già dal vostro rivenditore di fiducia! La Century Media ultimamente non sbaglia disco neanche a pregarla e vede giusto anche coi Vitriol: una realtà che non è qui per stravolgere, riscrivere o dettare proclami pieni di pretese ma per fare le cose fatte bene. E le fanno dannatamente bene. Tra i migliori dischi death del 2019, direttamente e senza passare dal via. Letali.

 

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