Recensione: Ultima Ratio Regis

Di Stefano Ricetti - 3 Marzo 2014 - 9:15
Ultima Ratio Regis
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Anno: 2014
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74

Considerati, a ragione, fra le migliori promesse dell’heavy metal tedesco, i Metal Inquisitor giungono al quarto, atteso album, forte di una intrigante copertina realizzata da Dimitar Nikolov.

Formatisi nel 1997 dalle parti di Coblenza, nella Renania-Palatinato, sulla spinta della incrollabile fede siderurgica del chitarrista Blumi, poco dopo raggiunto dal batterista Witchhammer e dal singer El Rojo – il bassista del tempo era tale Kronos – puntano subitamente e senza indugio verso le sonorità HM più ortodosse realizzando due demo e un singolo nel giro di tre anni. Qualche inevitabile cambio di line-up non mina di certo i propositi bellicosi del combo teutonico che infatti approda al debutto su full length nel 2002 con The Apparition. I ragazzi ci sanno fare e ci credono alla grande, tanto che nel 2004 riescono ad esibirsi sui palchi di festival tedeschi del calibro del Rock Hard e del Keep it True. La firma con Hellion Records probabilmente rappresenta la rampa di lancio definitiva per i defender aus Koblenz, che infatti, successivamente al possente secondo album, Doomsday for the Heretic, assurgono a uno status superiore che compatta ulteriormente la convinzione della band. Il resto è storia più o meno recente: nel novembre del 2010 vede la luce il terzo, decisivo disco, Unconditional Absolution, che riesce nell’intento di non deludere i die hard fan e il gruppo suona l’anno successivo a grandi meeting quali il Rock Hard Festival, l’Headbangers Open Air e il Bang Your Head.

Il novissimo Ultima Ratio Regis, marchiato Massacre Records e curato da dietro la consolle da Olof Wikstrand, si apre con Confession Saves Blood, scheggia di acciaio purissimo che spara subitamente nei denti schitarrate vecchio stampo e la voce di El Rojo fa il resto: HM tradizionale sulla scia della imprescindibile lezione degli Iron Maiden mista alla violenza della proposta americana tipica dei Metal Church, in pratica il trademark degli Inquisitors, espresso al 100% anche nelle successive Burn Them All e Call the Banners.

Antichi riffoni di marca Black Sabbath si impossessano dei primi momenti di Black Desert Demon, pezzo di estrazione Usa, rafforzato dalla voce acida del singer, molto vicino al grande, compianto, David Wayne. In Bounded Surface i cinque defender tedeschi teutonicizzano le direttive impartite da Ronnie James Dio, grandissima cavalcatona sulle note di Death on Demand impreziosita da mannaie che non lasciano scampo.

Spudoratamente Metallica primissima maniera in Self-Denial, Nwobhm marca Saxon in Servant of State, Overkill meets Four Horsemen nella massiccia The Pale Messengers e chiusura con gli scudi al cielo nei sette minuti e rotti dell’epica Second Peace of Thorn, canzone atipica da parte dei Metal Inquisitor, ove l’epica siderurgica regna sovrana fra continui richiami all’Ozzy d’annata per quanto riguarda l’interpretazione dei El Rojo e ai Black Sabbath più enfatici di Headless Cross per via dell’impianto, quando alla voce c’era quel fuoriclasse di Tony Martin.    

Ultima Ratio Regis conferma appieno la vena ortodossa dei Metal Inquisitor, che dopo quattro album si conquistano definitivamente il meritato posto al sole fra le orde della siderurgia applicata proveniente dalla Germania. Certo è che la magia profusa in Doomsday for the Heretic si attestava su ben altri livelli, è però altrettanto vero che finora i cinque metaller di Coblenza hanno saputo mediamente sfornare prodotti dignitosi, esattamente come quest’ultimo parto sotto l’egida della Massacre Records.     

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

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