Recensione: Vagabond

Di Simone Volponi - 27 Settembre 2017 - 0:05
Vagabond
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2017
Nazione:
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70

I Subterranean Masquerade sono un collettivo multietnico nato dall’unione di musicisti provenienti da Israele, Norvegia e Stati Uniti, e che realizza un prog rock raffinato dalle sonorità sfaccettate. “Vagabond” è il loro terzo album, e segue a due anni di distanza il precedente “The Great Bazaar”. Per l’occasione la componente israeliana è divenuta preponderante, con tra gli altri il batterista degli Orphaned Land Matan Shmuely, mentre la Norvegia è rappresentata dal solo Kjetil Nordhus (Green Carnation, Tristania).

La traccia d’apertura “Place For Fairytales” mantiene le premesse del titolo con la sua atmosfera sognante e pone subito l’accento sulle sonorità mediorientali che sono una delle caratteristiche della band. Apertura strumentale stile Dream Theater, tappeto di hammond e inserti di sax, mentre le parti vocali sono leggere e rimandano alle prove di Ayreon, anche se il growl le puntella i controcanti. “Nomad” prosegue su note eleganti dove si intrecciano hammond e sei corde, un cantato che si mantiene sofisticato come da tradizione prog rock, per guadagnare in aggressività grazie agli inserti ruggenti di Nordhus. Percussioni, voci femminili salmodianti, muezzin in sottofondo ai flauti velati caratterizzano la parte finale del pezzo, e queste sono un po’ le atmosfere che i Subterranean Masquerade vogliono maggiormente evidenziare. Durante l’ascolto si ripeteranno, così come altre particolarità. Ad esempio in “Ways”, punteggiata dal pianoforte, emerge di colpo una parte strumentale dall’andamento zigano seguita poi da un passaggio jazzistico. Il breve interludio per pianoforte e violino “Carousal” e un sospiro prima di arrivare all’intricata “Kippur”, dove il folklore israeliano prende il sopravvento prima in modo folleggiante poi con la leggerezza di una fiaba, come se ci trovassimo all’interno di un racconto de “Le Mille E Una Notte”, giusto un po’ lordato di sangue dal growl cavernoso di Kjetil Nordhus. La componente strumentale dei Subterranean Masquerade si dimostra comunque davvero fantasiosa, basta sentire il finale di traccia affidato ai bei giri del sax.
Sax che prosegue, insieme a una sezione di ottoni e vari strumenti etnici, a farla da padrone anche nella strumentale “Daled Bavos” dal bel finale festoso. “As You Are” è più breve e teatrale, e ci si accorge che nonostante le due voci il vero leader al microfono va individuato nel “pacato” Eliran Waitzman, in quanto Nordhul risulta solo un orpello che compare qui e là, come in “Hymn Of The Vagabond” che poi si conclude con una lunga parte di vocalizzi orientaleggianti. “Vagabond” infine si chiude con un omaggio a David Bowie rappresentato dalla cover di “Space Oddity”, resa bene ma che non aggiunge nulla a quanto ascoltato finora, se non un bel assolo nella chiusura.

In conclusione i Subterranean Masquerade offrono un compendio di prog rock che non spinge mai sugli amplificatori, ma resta dalle parti di Neal Morse, Redemption, Transatlantic e simili, puntando sulla varietà dei suoni, e incrociando per forza di cose la strada degli Orphaned Land. All’interno di questo “Vagabond” il sax va a braccetto con le chitarre mai sopra le righe a livello di tecnica ma sempre al servizio delle composizioni, troverete un tappeto di percussioni e strumentazioni etniche come caratteristica principale, i vocalizzi mediorientali e una atmosfera in generale placida. Le composizioni sono intricate e necessitano di vari ascolti, ma nell’insieme questo è un album che potrà piacere agli estimatori del prog più ricercato e d’avanguardia.

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