Recensione: Versus

Di Gianluca Fontanesi - 16 Maggio 2017 - 0:01
Versus
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2017
Nazione:
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72

Tamarri, irriverenti, di persona simpaticissimi e musicalmente non la mandano di certo a dire; ogni fatica discografica di questi personaggi è sempre ben accetta. I Monolith Deathcult offrono da sempre una concezione del death metal che a parecchi puristi potrebbe non andare giù, ma la genialità alla base di certe soluzioni è indubbia e vero e proprio marchio di fabbrica della band. Ciò che appunto rende riconoscibile il sound degli olandesi è l’uso di sampler e altre amenità combinate ad un riffing totalmente votato all’impatto, in totale controtendenza con l’uso smodato di arzigogoli vari che tanto oggi va di moda. Versus, quinta fatica discografica imputabile a questi terroristi sonori appena adottati dalla Hammerheart, non è di certo da meno e, come da copione, sfonderà i nostri e vostri padiglioni auricolari con affetto e un perfetto aplomb.

Dopo una breve intro, The Furious Gods esplode in maniera violentissima, con una produzione grezza al punto giusto, chitarre zanzarose al punto ancora più giusto e una gran martellata nei denti è servita. Condire il tutto con un growl cavernoso ma non troppo, portare in tavola e iniziare l’headbanging. Il songwriting dei Monolith Deathcult da sempre offre brani piuttosto lunghi, con minutaggi dai sei minuti in su uniti a un fare epico e marziale; gli arrangiamenti, nonostante la proposta possa apparire bislacca, sono molto curati e svolgono alla perfezione il loro sporco lavoro mentre la sezione ritmica è serratissima e pesta come un’ossessa. Altro non c’è da capire, nei primi 10 minuti dell’album scoppia tutto è non c’è neanche tempo per respirare. Die Glocke la campana, prevedibilmente rallenta il tiro e riorganizza le idee; il mood è opprimente, soffocante e brutale, non c’è spazio per accelerazioni e ce n’è anche volutamente poco per le variazioni. I Monolith sono maestri in questo e non è facile; ottimo anche l’assolo che rende bene l’atmosfera horrorifica, a un certo punto è stata persino inserita una chitarra acustica! Molto bello il finale coi cori maschili in latino.

L’incipit di Seven Months Of Mysticum ha l’effetto di un frontale con un carro armato che procede la sua inesorabile marcia spappolando tutto ciò che incontra. Il brano ha un tiro pazzesco ed è il più brutale dell’album; vi è qualche momento in cui c’è troppa roba e quindi un pelino di confusione (questo invece è un difetto di fabbrica), ma niente di particolarmente fastidioso. Uchronian March Of The Deathcults è un brano marziale e zeppo di effetti che, più che una canzone vera e propria si tratta di un lungo intermezzo che sì, giova alla tracklist ma di certo non la impreziosisce. Gli strumenti sono lontani e vi è molta elettronica; l’incedere è molto lento e il tutto è ben suonato, niente però di memorabile o particolarmente di impatto, sarebbe stato preferibile un pezzo vero e proprio. This Inhuman Place Makes Human Monsters riapre per fortuna le ostilità con un incipit che i cultori degli Strapping Young Lad non mancheranno di certo di cogliere e prosegue con un ragionato assalto; epica, potente e trionfale, la parte centrale è di alto livello, con accelerazioni repentine e anche sprazzi progressivi che si rivelano un ottimo valore aggiunto prima del finale parecchio evocativo. From The Stalinic Perspective ha l’onore e l’onere di chiudere l’album, compito svolto discretamente e senza particolari sussulti. Il brano supera i dieci minuti ed è un lentaccio epico e cinematografico che a lungo andare potrebbe annoiare l’ascoltatore; vi è qualche spunto buono in particolar modo nell’uso delle orchestrazioni e dei samples, ma nulla di particolarmente memorabile.

Ora di congedarci. Versus è un bel disco ma non bellissimo: i Monolith Deathcult sono una band unica e da preservare, coerenti, ottimi musicisti e a tratti davvero geniali. Ciò che però qui manca sono quel paio di brani “forti” in più che avrebbero fatto la differenza; se al posto di Uchronian March Of The Deathcults ci fosse stato un tormentone estivo tipo Wrath Of The Ba’ath e al posto di From The Stalinic Perspective qualcosa di più massiccio staremmo sicuramente parlando in altri termini. Siamo costretti ad accontentarci; consigliamo comunque l’album ai fan di vecchia data, che sicuramente non mancheranno di essere soddisfatti. Ai neofiti della band raccomandiamo comunque l’ascolto, precisando però che i capolavori dei Monolith si chiamano Triumvirate e Tetragrammaton.

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