Recensione: We Are All Born Evil

Di Marco Tripodi - 27 Marzo 2018 - 8:00
We Are All Born Evil
Band: Lechery
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2018
Nazione:
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72

I Lechery di Halmstad li ho conosciuti ai tempi di “Violator” il loro primo album, nel 2008. Mi colpirono immediatamente. Quella che al primo ascolto poteva sembrare l’ennesima metal band scandinava intenta a riproporre il metallo classico, denim & leather e agée degli anni 80 borchiati, ascolto dopo ascolto era invece un gruppo di musicisti molto intensi e focalizzati sui propri strumenti. Quel disco esplodeva dentro (e fuori) le casse dello stereo, rivelandosi una piacevolissima sorpresa; non particolarmente innovativa? Vero, d’accordo, ma se siamo ancora a celebrare la magnificenza (o perlomeno l’accoglienza come tale) degli album senili di Iron Maiden, Judas Priest, Megadeth, Accept, Black Sabbath (secondo qualcuno addirittura Metallica), figuriamoci se non può esserci posto anche per i “nuovi” Lechery. La band trae le proprie origini dall’abbandono degli Arch Enemy da parte di Martin Bengtsson nel 2006; reclutati dei sodali, in appena un paio di anni, e dopo decine di club visitati e battezzati a suon di rocciosissimo metal ortodosso, arriva il suddetto “Violator“. Nel 2011, dopo sfortune e traversie varie, la band approda al successore “In Fire“. Al di là della qualità musicale e di un buon consenso generale attorno al proprio operato, I Lechery non diventano un nome ingombrante, conservano la caratura di mestieranti del ferro e dell’acciaio, anche se per chi ha l’attenzione e la disposizione a prendersi cura dei loro album è immediatamente evidente come i ragazzi meritino.

Oggi esce l’album numero tre, “We Are All Born Evil“, in piena coerenza con gli stilemi musicali – sempre all’insegna della tradizione – messi in mostra dal quartetto (che oggi vede un nuovo batterista rispetto al 2011). Potenti, anthemici, belligeranti, dotati di una certa epicità, granitici eppure melodici, affilati e camerateschi, i Lechery riuniscono sotto le proprie bandiere tantissimi dei trademark pià amati dell’heavy metal, dai Running Wild ai Gamma Ray, dagli Accept ai Judas, passando per mille altre band più o meno dorsali (nel senso di spina) del movimento, Sinner, Saxon, Scorpions, Dio, Hammerfall, Nocturnal Rites, etc. E’ tutto un florilegio di leit motiv che scaldano i cuori dei metalhead dalla notte dei tempi (basta dare una scorsa anche ai titoli, “Heavy Metal Invasion“, “Hold On To The Night“, “Breaker Of Chains“, etc.). Quanto detto per il primo minuto della prima canzone del primo album dei Lechery può applicarsi indistintamente ad ogni altro loro sforzo produttivo, non c’è assolutamente nulla di nuovo nei loro solchi, nelle loro idee, nelle loro composizioni, ma quel nulla è fatto bene, con ardore, passione, sincero affetto per uno stile musicale che deve aver esaltato in primis la band; e tradurre questo amore viscerale in musica da offrire ad altri fratelli di fede non è affatto cosa scontata e semplice. In tanti hanno fallito, pur mossi dalle migliori intenzioni. I Lechery no, loro hanno fatto sempre centro. Se anche “We Are All Born Evil” si colloca un gradino al di sotto perlomeno del bombastico esodio, rimane un apprezzabilissimo episodio di ortodossia cingolata. C’è poca filosofia da fare attorno ai Lechery, si scapoccia, si intonano ritornelli col pugno alzato, si immaginano orizzonti lontani e guerriglieri, si sente il sangue scorrere caldo nelle vene, motivati a compiere qualsiasi impresa nel nome della musica onnipotente.

Marco Tripodi

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