Recensione: Where Do We Think We Go

Di Marcello Catozzi - 4 Marzo 2012 - 0:00
Where Do We Think We Go
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Anno: 2012
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87

La copertina dell’album ritrae i binari di una ferrovia che si perde in lontananza, quasi a voler rispecchiare il senso del titolo (“Where do we think we go”, che si diverte a parafrasare il famoso “Who do we think we are” dei capostipiti, o modelli di riferimento che dir si voglia). Indubbiamente i torinesi 60/70 ne hanno fatta di strada, dal 1990 (anno della loro fondazione come tributo ai Deep Purple) ai giorni nostri, come testimoniato da questa attesissima uscita del primo disco di brani originali.

In verità (correva l’annus Domini 2007), nel corso della loro gloriosa carriera di tribute band, i 60/70 avevano già pubblicato un CD di tre brani, contenente un inedito dal titolo “Dead inside”. Tuttavia il battesimo ufficiale si celebra nel 2012, proprio con “Where do we think we are” che ha scatenato, nei numerosi fan, un enorme interesse e suscita, nel sottoscritto, una grandissima curiosità, per il fatto di aver apprezzato le doti dei musicisti in sede “live” durante tutti questi anni di fedele militanza in onore e in nome dei Deep Purple.

E’ giunto, dunque, il fatidico momento di dare in pasto il CD allo stereo, senza ulteriori indugi.
In cima alla lista di questo ricco menu, composto da 11 portate, appare “Haunt Me Tonight”, che esordisce con un intro di organo, solenne e quasi sacrale, cui fa seguito l’ingresso della batteria, preludio all’entrata in scena di un inquietante riff chitarristico, dalle tinte oscure, sostenuto da tastiere altrettanto dark. E così, chi si aspettava un primo piatto dall’approccio “purpleiano”, viene servito con una specialità dal gusto smaccatamente “sabbathiano” dell’ultimo periodo (Dio era). Nella parte centrale un demoniaco fraseggio di basso, sinistro e ossessivo, si disimpegna tra le canne di un organo dai toni crepuscolari, fino ad arrivare all’assolo di chitarra, che irrompe in tutta la sua densità muovendosi con agilità tra Heaven and Hell, con passaggi e picchi malefici che richiamano lo stile e le tonalità di Tony Iommi. Un primo davvero travolgente e pomposo, che suscita ottime sensazioni e vibrazioni.
Con “Surrender To Your Smile” il ritmo rallenta: la voce di Piero, limpida e pulita, disegna una melodia di immediato impatto, mentre la chitarra interviene in misura equilibrata e gustosa, lineare nel ritornello e di grande spessore nell’armonia. Nella seconda parte si fa largo un synth di ottantiana memoria, a condire nel modo migliore questa seconda portata succulenta e di ottima qualità.

“Second Life” soddisfa gli appetiti dei più convinti fra I Purple fan, i quali potranno bearsi dei sapori di questa traccia, cucinata in ossequio alla tradizione e impreziosita da stacchi speziati al punto giusto, nonché da un apporto tastieristico di prim’ordine. Tirata e volutamente vintage, questa specialità si pone come un doveroso omaggio all’Hard Rock anni 80.
“Well I See” si apre con un motivo che entra subito in testa, dal sound familiare e casereccio; strada facendo, gli irriducibili fan dei Rainbow si sentiranno come a casa loro, grazie alla tipologia della ritmica, alla timbrica dei suoni, alla costruzione armonica, insomma a tutte quelle sue componenti che ne fanno un momento epico ed estremamente variegato, sicuramente una graditissima sorpresa comparsa sulla tavola imbandita per la gioia dei palati più nostalgici ed esigenti. Va sottolineato l’apporto particolarmente espressivo delle tastiere, tale da conferire un tocco rinascimentale al pezzo, un’ottima prestazione vocale, un corposo e penetrante impianto chitarristico e un’impalcatura ritmica precisa e ben articolata.

“This Is The End” è una traccia epica, un’esaltante cavalcata anni 80, spedita e orecchiabile, che presenta un’indovinata miscela di ingredienti strumentali di antica reminescenza, contraddistinta da uno scatenato assolo centrale di blackmoriana memoria (non per nulla Fabrizio Fratucelli è conosciuto come il Man in Black italiano) e da un indovinato cambio di ritmo, con un coro finale che si stampa nella mente.
In “You’ll Be Mine” le note di chitarra dell’apertura preludono a un timing inequivocabilmente bluesy, con una chitarra di spiccata personalità che intesse le trame della struttura di base: una canzone in stile Whitesnake del primo periodo, assai piacevole nella sua varietà di toni, con tastiere “old school” e chitarre sugli scudi, e una performance vocale di livello assoluto fino alla simpatica chiusura.
“Everyobody Says” è un brano che sembra uscito dal Mark 1, contraddistinto da una base ritmica rotonda e continua, che incalza dall’inizio alla fine rotolando e trascinando il resto della band in un excursus temporale di stampo rétro.
“Lady Grace” incomincia con un refrain spinto e deciso, di diretto impatto sonoro, che costituirà l’impalcatura del brano fino alla fase centrale, in cui si assiste a un calibrato avvicendarsi di tastiere e chitarra, mentre basso e batteria continuano il loro “sporco lavoro”, robusto e incessante quanto prezioso. Un altro capitolo di grande spessore creativo e di straordinaria versatilità.
“From Now On (I’ll Be There)” è un episodio assai dinamico ed energico, caratterizzato dall’alternanza tra parti strumentali e vocali, con un assolo di tastiere seguito dall’inconfondibile schitarrata di Fratucelli: un’altra ricetta d’altri tempi, proposta con freschezza e originalità di contenuti.
Un motivo ammiccante scandito da piano e tastiere apre questa spensierata “Celebrate The Party”, un rock and roll festaiolo e coinvolgente che ricorda un pochino, alla lontana, forse per la sua frizzante vivacità, “Saturday night’s all right” di Elton John (non me ne vogliano i puristi dell’Hard Rock).
Piero evidenzia una forma strepitosa e una sorprendente adattabilità a questa scintillante ambientazione, dovuta anche al grande lavoro di Gambino al piano, mentre il resto della band regala una prestazione impeccabile sulle corde del più puro e genuino R’n’R.

Dopo l’allegria e la brillantezza della traccia precedente si arriva all’ultimo capitolo, di tutt’altra ispirazione e atmosfera. “You Will Sing Forever”, concepita come omaggio a Ronnie James Dio, si apre con poche note di pianoforte, essenziali e incisive, sulle quali si appoggia una voce tanto profonda e intensa quanto la tempesta emotiva scatenata dalle liriche. Il testo, infatti, colpisce forse ancora più della musica, struggente e toccante nella misura in cui riesce a evocare, in modo discreto e azzeccato, ciò che Lui è stato per tutti noi. Nella parte centrale il tocco di chitarra, delicato e gustoso, si fa via via più acuto e corposo, in un crescendo emozionale di pari passo con la voce di Piero, che diventa sempre più potente e voluminosa sino all’urlo finale, smaccatamente “Dio oriented”. La canzone si chiude con le stesse note di pianoforte dell’intro, che accompagnano il ritornello e… le lacrime di tutti gli animi sensibili, inesorabilmente commossi da questa song, il cui refrain continuerà a circolare nelle vene per ore e ore!

Dopo un lungo respiro, si possono formulare le prime considerazioni sul lavoro di questi navigati ragazzi d’altri tempi, che rappresenta la summa delle loro influenze (Deep Purple in primis, ma anche Rainbow, Black Sabbath, Whitesnake…), elaborate e filtrate attraverso esperienze musicali e percorsi professionali convergenti.
L’uscita di questo prodotto discografico si portava dietro parecchia attesa, in quanto ci si chiedeva quale ne sarebbe stata la fisionomia, considerato che di tribute band si tratta. All’indomani dell’uscita di questo album, fra l’altro ben prodotto a livello di suoni, bisogna riconoscere che l’attesa è stata ampiamente ripagata e i dubbi inerenti all’eventuale monotematicità delle tracce completamente fugati.
Come si può evincere dalla descrizione delle singole canzoni, nel disco non è presente soltanto l’influsso dei Deep Purple, sebbene i 60/70 siano conosciuti come i migliori interpreti nostrani degli illustri predecessori; qui convivono componenti di diversa estrazione, che concorrono a formare un’opera eterogenea, varia e composita, pur tuttavia unita da un filo conduttore comune, costituito dallo stile acquisito da ciascun musicista nel corso della sua carriera, e soprattutto dall’amore incondizionato per un genere che continua a dare segni di vitalità e vigore, a dispetto delle immancabili cassandre.

A ogni ascolto le tracce regalano nuove sensazioni e scoperte, il che rappresenta un indice di qualità che è proprio solo delle opere musicali di un certo valore: e dopo alcuni passaggi nello stereo ormai fumante, si può tranquillamente affermare che, in questo caso, i 60/70 hanno davvero fatto un gran bel regalo non solo ai loro fedelissimi, ma a tutti gli appassionati di un genere che non morirà mai.
L’unico problema, per il vecchio recensore, consiste nel trovare il modo di farsi restituire il CD dal suo lettore, che pare proprio essersene innamorato al punto da non volersene più spossessare! Un segno?
It’s only Rock and Roll…

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Tracklist:

01. Haunt me tonight
02. Surrender to your smile
03. Second life
04. Well I see
05. This is the end
06. You’ll be mine (blue eyes)
07. Everybody says
08. Lady Grace
09. From now on (I’ll be there)
10. Celebrate the party
11. You will sing forever

Line up:

– Piero Leporale – vocals
– Fabrizio Fratucelli – guitars
– Roberto Cassetta – bass
– Renzo Coniglio – drums
– Paolo Gambino – keys

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