Recensione: Wild Card

Di Alessandro Calvi - 12 Settembre 2013 - 9:00
Wild Card
Band: ReVamp
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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55

Floor Jansen non ha bisogno di presentazioni. Voce degli After Forever fino al loro scioglimento e, ultimamente, nuova singer dei Nightwish, è anche creatrice e mattatrice a tutto tondo del personalissimo progetto ReVamp. Nati poco dopo la fine dell’esperienza degli After Forever, forse anche come mezzo della Jansen per provare nuove strade, i ReVamp giungono con “Wild Card” al loro secondo album destinato, in teoria, a mostrarci di cosa son veramente capaci dopo il mezzo passo falso dell’esordio.

Il debutto omonimo, infatti, aveva lasciato un po’ freddi sia il pubblico che la critica a causa, principalmente, di un sound che sembrava non avere ben idea di dove volesse andare. L’unica cosa che sembrava certa era la scelta di non risultare dei cloni degli After Forever e, quindi, di accantonare le partiture sinfoniche per concentrarsi su qualcosa di più aggressivo e pesante.
Con “Wild Card” la band fa un parziale passo indietro e introduce nella sua proposta musicale anche le tastiere e i passaggi orchestrali. Il problema, però, è rappresentato proprio da quel “anche”. In questo disco, infatti, prossiamo trovare praticamente di tutto. Dall’heavy classico, al sinfonico, al gothic, al prog, fino a sperimentazioni elettroniche quasi in odore di industrial. La stessa Floor non si risparmia e sfodera una prestazione estremamente diversificata che passa attraverso un numero impressionante di registri diversi. Se dovessimo valutare solo la sua prova, probabilmente, saremmo costretti ad ammettere che si tratta della più completa e migliore che abbia mai offerto in tutta la sua carriera.
Come più spesso è stato ribadito in queste sedi, però, un disco non si esaurisce solo nella prestazione della sua cantante. Ed è sotto il profilo prettamente musicale, purtroppo, che “Wild Card” manca completamente l’obiettivo.
Abbiamo già accennato, infatti, alla presenza di svariati generi e influenze diverse nelle dieci tracce della scaletta. Questo, in sé, non sarebbe un problema, molti gruppi hanno fatto della capacità di svariare tra gli stili e dell’ecletticità il proprio cavallo di battaglia. Basti pensare a band come i Die Apokalyptischen Reiter nei suoi momenti migliori, per capire cosa si intende. Lungi dall’essere una pecca, sarebbe al contrario un punto a loro vantaggio se i ReVamp fossero in grado di unire tante sonorità diverse in un unicum convincente e appassionante o anche solo se fossero capaci di passare da uno all’altro con padronanza e sicurezza.
Malauguratamente questo non accade. I brani appaiono il più delle volte come un coacervo di idee buttate insieme alla rinfusa, con arrangiamenti banali, quando non addirittura scadenti, quasi fossero il risultato del lavoro di un principiante. I generi non si amalgamano tra loro, ma vengono costretti ad andare a braccetto controvoglia, con continui e repentini salti da uno all’altro. Se all’inizio la sensazione è straniante e, diciamolo, neanche del tutto negativa (frutto più che altro della sorpresa di sentire tanta roba diversa messa insieme), alla lunga le composizioni mostrano la loro vera natura e assumono una dimensione cacofonica e fastidiosa.

Per concludere l’impressione è che Floor Jansen, con i suoi ReVamp, abbia osato troppo. E’ comprensibile il desiderio, l’intenzione, di discostarsi da una certa immagine di gruppo legato solo ed esclusivamente alle doti della propria singer. Per questo non possiamo che lodare l’impegno nel cercare di proporre un sound vario, pieno di sfaccettature e influenze diverse, che metta la musica e le composizioni al centro dell’attenzione e non più solo la voce della propria bravissima cantante. “La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”, diceva un proverbio (da alcuni attribuito a Karl Marx), e noi non possiamo che dirci concordi, perchè un conto è ciò che si vuole e un conto ciò che si ottiene. In questo, purtroppo, i ReVamp vanno molto distanti dall’obiettivo, con un disco che vorrebbe essere tutto e, invece, è poco o niente.

Alex “Engash-Krul” Calvi

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